Italiani analfabeti: la catastrofe è inevitabile

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Avevo deciso di utilizzare la citazione da Il liberismo ha i giorni contati dall’ultimo album dei Baustelle per scrivere della necessità di una scelta consapevole di non voto alle prossime elezioni politiche di aprile, ma una notizia degli ultimi giorni ha monopolizzato la mia attenzione. Perché prima che politico, il problema è culturale. Sull’astensione scriverò a breve.

Che la situazione di questo Paese fosse tragica lo sapevamo già bene, ma la lettura dell’articolo di Smargiassi su Repubblica, Nell’Italia dei laureati che non sanno scrivere, ci tuffa nello sconforto più profondo: oltre a raccontarci che la maggior parte degli italiani non è in grado di leggere e comprendere un testo complesso, ci dice anche che gli abitanti del fu Bel Paese non sanno nemmeno scrivere decentemente, che confondono significanti simili che portano significati diversi, che usano un lessico povero, banale, riempito di frasi fatte e luoghi comuni.

E’ una disfatta. Che parte dalla scuola, incapace di insegnare a leggere e capire e tanto meno a scrivere, per arrivare all’università in cui gli studenti affrontano test di lingue straniere ma nessuna verifica sulla conoscenza della propria lingua. E i risultati si vedono e si sentono quotidianamente.

Citare il Nanni Moretti di Palombella Rossa è fin troppo scontato. Forse sarebbe meglio - per chi è ancora in grado di comprenderlo… - leggere un testo come quello di Gian Luigi Beccaria, Per difesa e per amore: perché la povertà di linguaggio è sintomo di una povertà di pensiero. Senza parole e senza una grammatica corretta non si arriva da nessuna parte.

Si è contagiati dal già troppo detto o troppo scritto, le parole perdono in precisione e vitalità, si è da esse parlati, si comincia a ottundere la capacità di discernimento tra ciò che conta e ciò che è superfluo, tra ciò che è mezzo, mercanzia, e ciò che è sostanza. (G. L. Beccaria, p. 18)

Anche se per i laureati in questione si preferisce il termine ‘illetterati’, la sostanza non cambia. E il problema sta molto più in profondità di un ‘po” scritto con l’accento o dell’uso barbaro di ‘piuttosto che’ in semplice funzione disgiuntiva (errori per cui la mia militanza per una grammatica corretta vorrebbe l’introduzione del reato!).

Gli italiani sono parlati da una lingua che non conoscono né comprendono più bene: questo è il dramma. E anche se negli ultimi anni si è tornato a parlare di ritorno alla scrittura (grazie alla rete, agli sms…) basta qualche esempio per rendersi conto che è una forma di scrittura a cui quasi sempre mancano le basi, che si improvvisa su di un nulla dettato più dalle regole del T9 che dalla consapevolezza di quello che si scrive.

Questa è la situazione. Culturale, sì, ma necessariamente politica, come ci ricorda Bartezzaghi in chiusura della sua riflessione:

La crisi politica in corso - a seguirla lungo le sue linee-guida linguistiche, semiotiche e logiche - non dimostra innanzitutto, e profondamente, quanto siamo ignoranti - nel doppio senso di insipienti e di inconseguenti - , tutti?

http://festinalente.ztl.eu/2008/02/07/italiani-analfabeti-la-catastrofe-e-inevitabile/
Italiani ignoranti e analfabeti: niente di nuovo
Repubblica oggi ci regala un articolo di Michele Smargiassi dedicato all’analfabetismo di ritorno imperante perfino tra i laureati italiani che non leggono accampando banali scuse o, addirittura, disprezzano la lettura e la cultura in toto preferendo, come è noto, le prostitute transessuali e la droga.
http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/scuola_e_universita/servizi/laureati-analfabeti/laur
Dirimere un’ambiguità lessicale è un problema per un laureato su cinque. A dir la verità, anche solo comprendere la frase che avete appena letto è un problema per un laureato su cinque. “Termini come dirimere, duttile, faceto, proroga si trovano comunemente sui giornali, ma per molti italiani con pergamena appesa al muro sono parole opache“. Luca Serianni, linguista all’università di Roma 3, ne fece esperienza diretta un giorno nell’ambulatorio di un dentista cui s’era rivolto per un’urgenza. “Con le mie lastrine in mano chiamò al telefono un collega per avere un parere: “Senti caro, aiutami a diramare un dubbio…“”. E il professore sudò freddo: “Un medico che non sa maneggiare le parole è un medico che non legge, quindi non si aggiorna, quindi forse non sa maneggiare neanche un trapano“.

Analfabeti con la laurea. Non è un paradosso. E nessuno s’offenda: ci sono riscontri scientifici. Il report 2006 del ramo italiano dell’indagine internazionale All-Ocse (Adult Literacy and Life Skill), coordinato dalla pedagogista Vittoria Gallina, non lascia spazio a dubbi: 21 laureati su cento non riescono ad andare oltre il livello elementare di decifrazione di una pagina scritta (il bugiardino di un medicinale, le istruzioni di un elettrodomestico).

E non sanno produrre un testo minimamente complesso (una relazione, un referto medico, ma anche una banale lettera al capo condominio) che sia comprensibile e corretto. Una minoranza? Sì: un laureato italiano su due, per fortuna, raggiunge il quinto e massimo livello. Ma è una minoranza terribilmente cospicua, anche se si maschera bene. Negli Usa tre anni fa fu uno shock scoprire che i graduate fermi al livello base sono il 14%. Da noi il buco nero si manifesta a tratti, in modo clamoroso, come un mese fa, a Roma, al termine dell’ultimo dei concorsi per l’accesso alla magistratura. Preso d’assalto da 4000 candidati, in gara per 380 posti. Nonostante questo, 58 posti sono rimasti scoperti: 3700 candidati, tutti ovviamente laureati (magari anche più) hanno presentato prove irricevibili sul piano puramente linguistico. “Per pudore vi risparmio le indicibili citazioni“, commentò uno dei commissari d’esame, il giudice di corte d’appello Matteo Frasca.

Il campanello d’allarme dovrebbe suonare forte. Non si tratta più di scandalizzarsi (e divertirsi) per gli strafalcioni nozionistici degli studenti. No, episodi come il concorso di Roma mettono a nudo il grado zero del problema. Stiamo parlando di chi è senza parole. Di chi dopo cinque (sei, sette…) anni di studio universitario non è riuscito a mettere nella cassetta degli attrezzi le chiavi inglesi del sapere: grammatica, ortografia, vocabolario.

Analfabetismo: anche questa parola sembrava scomparsa dal lessico, ma per esaurimento di funzione. Consegnata ai ricordi in bianco e nero del maestro Manzi. Falsa impressione, perché di italiani che non sanno leggere né scrivere se ne contavano ancora, al censimento 2001, quasi ottocentomila. Se aggiungiamo gli italiani senza neanche un pezzo di carta, neppure la licenza elementare, arriviamo a sei milioni, con allarmanti quote di uno su dieci nelle regioni meridionali. Ma almeno sono numeri che scendono. Aggrediti dal lavoro di meritorie istituzioni come l’Unla, capillarmente contrastati dai corsi ministeriali di alfabetizzazione funzionale per adulti dell’Indire (frequentati l’ultimo anno scolastico da 425 mila persone, tra cui, guarda un po’, 30.407 laureati, in gran parte, però, stranieri). Nobilmente contrastato ai livelli più bassi della scala del sapere, però, ecco che l’analfabetismo riappare dove meno te l’aspetti: ai vertici. Gli studiosi, è vero, preferiscono chiamarlo illetteratismo: non si tratta infatti dell’incapacità brutale di compitare l’abicì, di decifrare una singola parola; ma della forte difficoltà a comunicare efficacemente e comprensibilmente con gli altri attraverso la scrittura. Ma non è proprio questo l’analfabetismo più minaccioso del terzo millennio? Nadine Gordimer, per il bene della sua Africa, è di questo analfabetismo relativo che ha più paura: “Saper leggere la scritta di un cartellone pubblicitario e le nuvolette dei fumetti, ma non saper comprendere il lessico di un poema, questa non è alfabetizzazione“. Siamo sicuri che l’Italia di Dante sia messa meglio del Sudafrica?

Proprio no. Per niente sicuri. Quanti, del nostro già magro 8,8% di laureati (la media dei paesi Ocse è del 15%), leggono ogni giorno qualcosa di più delle réclame e delle didascalie della tivù? Quanti invece sono prigionieri più o meno consapevoli di quella che Italo Calvino chiamò l’antilingua? Non saper scrivere nasconde il non saper leggere. Sette laureati su cento non leggono mai (e sono quelli che hanno il coraggio di dichiararlo all’Istat: mancano quelli che se ne vergognano). Altri sette leggono solo l’indispensabile per il lavoro: e siamo già vicini al fatidico uno su cinque. Ma andiamo avanti: uno su tre possiede meno di cento libri, praticamente solo i suoi vecchi testi scolastici. Uno su cinque non ha in casa un’enciclopedia. Quasi nessuno (73 per cento) va in
biblioteca, e quando ci va, raramente prende libri in prestito. “Manca il tempo“, “sono troppo stanco“, le scuse più comuni. Ma ci sono anche quelli che non accampano giustificazioni imbarazzate, anzi rivendicano il loro illetteratismo come atteggiamento moderno e aggiornato: “leggere oggi non serve“, “è un medium lento“, “preferisco altre forme di comunicazione sociale“.

“La società sprintata”, come la chiama il pedagogista Franco Frabboni, preside di Scienze della formazione a Bologna, uno degli autori della riforma universitaria, è arrivata negli atenei. E gli atenei la assecondano: “La trasmissione del sapere universitario è regredita dalla scrittura all’oralità“, spiega. Nelle aule della nostra istruzione superiore, il grado di padronanza della lingua italiana non è mai messo alla prova. Persino l’arte dell’argomentazione orale, ponte fra i due universi semantici, è svanita, racconta Frabboni: “Professori sempre più incerti fanno lezione con diapositive, seguendo una traccia fissa. Ai laureandi si lascia esporre la tesi con presentazioni Powerpoint. I “test oggettivi” d’ingresso sono crocette su questionari“. La competenza linguistica non è considerata un pre-requisito indispensabile: “Devi guadagnarti cinque crediti per la lingua straniera, e cinque per l’informatica, ma non c’è alcun obbligo per quanto riguarda la buona pratica dell’italiano“. Un tacito accordo fissa tetti massimi di lettura ridicoli per i testi d’esame: “Quando un professore assegna più di 150-180 pagine, davanti al mio ufficio c’è la fila di studenti che protestano“.

Protestano, e poi si sfracellano contro il muro dell’esame. Sugli esiti dell’idiosincrasia per la lettura, agenzie private di tutoraggio hanno costruito imperi aziendali, come il Cepu, diecimila studenti l’anno. “Ci chiedono di aiutarli a passare un esame“, racconta il responsabile marketing Maurizio Pasquetti, “ma scopriamo quasi sempre che alla radice c’è la difficoltà o la paura di affrontare testi scritti. Escono da scuole superiori abituati a libri di testo ancora simili a quelli delle elementari, con testi spezzettati, già schematizzati, con tante figure e specchietti: di fronte al terribile “libro bianco”, fatto solo di pagine di scrittura continua, restano terrorizzati“.

“In Francia e Germania gli atenei organizzano gare di ortografia “, sospira il professor Serianni. Da noi è difficile perfino reclutare iscritti per i laboratori di scrittura che alcuni atenei, allarmati, hanno messo a disposizione degli studenti in debito di lingua. Quello di Modena è affidato al professor Gabriele Pallotti: “Di solito comincio da virgole e apostrofi…“. Pallotti nel cassetto tiene una cartellina di orrori: email, biglietti affissi alle bacheche, “esito profiquo”, “le chiedo una prologa”, “attendo subitanea risposta”. Ma correggere le asinate non è ancora abbastanza. “Saper annotare correttamente parole sulla carta non è saper scrivere” spiega. “Parlare e scrivere sono due diversi modi di pensare. Troppi ragazzi escono dall’università sapendo solo trascrivere la propria oralità, ovvero un flusso continuo di idee non ordinato e difficilmente comunicabile. Cioè restano mentalmente analfabeti“.

Ma se avessero ragione loro? Perché alla fine si scopre che il laureato analfabeta non fa necessariamente più fatica a trovare lavoro rispetto ai suoi quattro colleghi più letterati. le imprese non sembrano granché interessate a selezionare i propri quadri dirigenti sulla base delle competenze linguistiche di base. E non perché non si accorgano delle deficienze dei loro nuovi assunti. Parlare con Carlo Iannantuono, responsabile delle risorse umane per la filiale italiana della Sandik, una multinazionale del ramo macchine per cantieri, reduce da una lunga selezione di personale laureato, è come farsi raccontare una serata allo Zelig: “Quello che se potrei, quello che s’è laureato per il rotolo della cuffia (e si vede), quello che glielo dico così, an fasàn (e io: e dü pernìs…)…“. Gli analfabeti conclamati, calcola, sono solo un 3-4 per cento, ma molti altri non sembrano pienamente padroni delle loro parole. E lei li assume lo stesso? “Dipende“, si fa serio, “noi cerchiamo bravi venditori. Quello che deve discutere con i dirigenti della Snam è meglio sappia i congiuntivi. A quello che deve convincere un capocantiere della Tav forse serve di più un buon paio di stivali di gomma“.

“Non c’è alcuna sanzione sociale verso l’analfabetismo con laurea“, commenta con sconforto Tullio De Mauro, il padre degli studi linguistici italiani. Forse perché non si riconoscono immediatamente, si mascherano bene da alfabetizzati. “Fino a cinquant’anni fa l’incompetenza linguistica era palese: otto italiani su dieci usavano ancora il dialetto. Oggi il 95 per cento degli italiani parla italiano. Ma che italiano è? Solo in apparenza parliamo tutti la stessa lingua. Quando si prende in mano una penna, però, carta canta, e le stonature si sentono“. Non è una questione di stile: l’analfabetismo laureato può fare danni concreti. Il paziente che legge sulla sua prescrizione medica “una pillola per tre giorni”, alla fine del terzo giorno avrà preso tre pillole o una sola? “Ci sono guasti immediati come questo. Ci sono guasti a medio e lungo termine, e ben più pericolosi. Chi non legge smette anche di studiare. In Italia solo un venti per cento di quadri segue corsi di aggiornamento: quattro volte meno della media europea. Una classe dirigente male alfabetizzata, quindi non aggiornata, è la rovina di un paese, molto più di un crollo della Borsa“. Chi parla male pensa male e vive male: è ormai un aforisma, quella battuta di Nanni Moretti.
Se pensa male anche solo un quinto dell’élite dirigente, per De Mauro è un’emergenza nazionale: “Per il futuro economico del nostro paese migliorare l’italiano degli imprenditori, dei professionisti, dei politici, è perfino più vitale e urgente che migliorare i salari dei dipendenti. E non lo prenda come un paradosso“.
Ho sempre letto e considero la cultura come indispensabile per non essere solo dei maiali che grufolano, si accoppiano, mangiano, cagano e cedono alla corruzione invece di compiere il proprio dovere nei confronti della Repubblica. E non parlo della cultura che qualcuno definirebbe “fine a sé stessa“, ma parlo di quella “pratica” con lo scopo di farsi un’idea del mondo e della storia, che ti permette di capire cosa è l’Islam, perché gli stati nazionali sono così, quali sono i rischi e i vantaggi dell’immigrazione, che ti fa capire quando e con quali meccaniche verbali già note al tempo di Cicerone i politici mentono quando parlano o anche perché l’energia solare non è una fonte affidabile ecc…

Cose su cui si fonda la gestione dello stesso Stato di fronte ai grandi problemi di ogni giorno.
La cultura che distingue un suino grufolante all’oscuro del mondo da una persona che può pensare da solo e provare a capire quel che vede. Il genere di cultura che gran parte degli italiani e una grossa fetta dei laureati disprezza.

Voialtri italiani che belando guidate la nazione verso l’oblio e la morte mi fate vomitare.
http://www.carraronan.org/2008/02/06/italiani-ignoranti-e-analfabeti-niente-di-nuovo/
"Gli italiani sono parlati da una lingua che non conoscono né comprendono più bene"

Non ho capito!
vuol dire che gli italiani parlano una lingua LA loro lingua ma non la capiscono bene e non la parlano bene- eh un'altra cavolata incollata da qualche sitino:-)
ASI = Analfabetismo Scientifico Italiano
Autore: Claudio Pasqua
"Scusate, ci è appena arrivata la notizia della navetta Atlantis che è esplosa con sette astronauti a bordo. [...] La navetta doveva raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale orbitante per una missione di 11 giorni, invece ora è arrivata questa notizia. La navetta è esplosa con sette astronauti a bordo ..."

Come se nulla fosse successo la giornalista continua a leggere le notizie. Solo verso la fine del Tg questa stessa riappare e, dopo un lungo sospiro, come rattristata nel dover dare una nuova notizia, rettifica:

"Dobbiamo scusarci con i telespettatori, abbiamo letto una agenzia che purtroppo [sic] era sbagliata, quindi noi abbiamo dato la notizia della esplosione in volo dello Shuttle Atlantis, invece lo Shuttle è partito regolarmente..."

Sapete cosa è accaduto in Viale Mazzini? Qualcuno ha tradotto "blast off" con "esploso" invece che con "decollato", senza verificare prima di dare una notizia così importante.
La verifica, inoltre, era semplice: bastava guardare le immagini in diretta su NASA TV.

Ma la gaffe più clamorosa di Rai 1 dai tempi della diretta dell'allunaggio con Tito Stagno e Ruggero Orlando del 1969 è fatta, ed è solo l'ultimo esempio della crescente imprecisione dei media e dell'analfabetismo scientifico in cui vive la maggioranza della popolazione italiana, giornalisti compresi, dove un'indagine Doxa afferma che l'89 percento ammette di non conoscere l'Ente che si occupa di spazio e solo il 4 percento sa che si tratta dell'ASI.

La gaffe, che viene descritta sul numero di questo mese di Le Science, commentata dal Prof. Roberto Battiston, ordinario di fisica generale all'Università di Perugia, è visibile on line su You Tube.

Guardatela, merita davvero!
I giornalisti non fanno che amplificare la disinformazione scientifica e confermano la regola.
Fateci caso, quando i Tg parlano del disastro dello shuttle Columbia, disintegratosi al rientro nell'atmosfera nel 2003, mandano sempre in onda le immagini ben più spettacolari del disastro del Challenger del 1987, esploso subito dopo la partenza.

Ovviamente l'analfabetismo scientifico non riguarda solo le notizie relative allo spazio.

Continua infatti Battiston ammettendo l'ignoranza degli italiani in fatto di semplici nozioni di statistica o matematica elementare.
Ad esempio come siano troppe le persone che non comprendano quanto statisticamente sia provato che il gioco del lotto (uno tra i più popolari) sia anche quello più svantaggioso fra i giochi d'azzardo.

Quanti sanno, per esempio, che risulta 5 volte più facile essere colpiti da un fulmine che vincere con un sei al Superenalotto? (Ogni anno, infatti, statisticamente, le persone che vengono colpite da un fulmine in Italia sono 5 volte più numerose dei vincitori col 6 al Superenalotto).

Un'altra delle convinzioni errate più diffuse in materia di probabilità e giochi di azzardo è ad esempio la seguente: "la probabilità che ha un numero di venir estratto dipende dal suo ritardo". In altre parole, si crede che un numero appena estratto abbia meno probabilità di uscire di uno che manca da molto tempo; e che un numero in forte ritardo abbia una probabilità di uscire decisamente più alta degli altri. Così i giocatori del lotto (ma anche della roulette) evitano di puntare sui numeri appena usciti, e si concentrano su quelli in ritardo, convinti in questo modo di ottenere un vantaggio.

Nemmeno coloro che devono prendere decisioni politiche sono immuni dall'analfabetismo numerico; come nel caso di quel ministro che una volta, parlando del pericolo dell'abuso di droghe, sostenne che, poiché la maggioranza degli eroinomani ha fatto uso di marijuana, la maggior parte di quelli che consumano marijuana finirà nell'eroina. Possiamo vedere che questa conclusione è sbagliata nella figura.
I due insiemi in figura rappresentano il numero di consumatori di marijuana (ellisse più grande) e di eroinomani (cerchio più piccolo). La maggioranza degli eroinomani consuma anche marijuana. Possiamo, vedendo il grafico, concluderne che i consumatori di marijuana sono in maggioranza eroinomani?


Cambiando discorso, che dire allora di quelle trasmissioni continuamente in onda sulle reti e radio RAI, in cui brulicano maghi e fattucchiere e si dispensano oroscopi senza ricordare che questi non solo non hanno alcun fondamento scientifico ma si potrebbero palesare come abuso della credulità popolare. Vedi proposta di legge Art. 421-bis

Si veda anche a questo proposito un utile vademecum per difenderci da chi ci vuol fare credere che l'astrologia abbia fondamento, su Torinoscienza.

Se nella scienza gli italiani si dimostrano dei somari, ancor peggio si potrebbe dire nella comprensione che hanno delle nuove tecnologie e di Internet.

Perfino il filosofo Gianni Vattimo, di cui tutto si può dire tranne che sia una persona non istruita, scrive (nell'articolo "Nel nome del virus, la fragilità dei computer onnipotenti")... "ma ormai il senso di inquietudine che ci prende quando accendiamo il computer è una sensazione universale". "... il computer sa fare più cose di quante ne so fare e fargliene fare io, e spesso, quando tocco inavvertitamente un tasto, sfugge al mio controllo.."
"Gli hacker che mettono in giro i virus informatici, a loro volta, li controllano davvero?" "Anche se fosse così, l'inquietudine non diminuirebbe, saremmo sempre nelle mani di misteriosi individui la cui potenza distruttiva aumenta ogni volta che noi mettiamo le mani sulla nostra tastiera ...".

A parte l'imprecisione lessicale sul termine hacker, il tutto non è molto diverso dal "terrorismo psicologico" di alcune affermazioni giornalistiche quando trattano argomenti legati alle nuove tecnologie.

E' chiaro che Vattimo è spaventato dai virus. Qualcuno gli ha spiegato che esistono gli antivirus? Oppure i computer Apple?

Perché solo Internet e i PC sembrano essere demonizzati, mentre non lo sono, ad esempio, i telefoni?
Perché i giornalisti spesso dimenticano di far notare che tramite un semplice telefono cellulare è possibile "spiare" i movimenti e le comunicazioni di una persona molto di più di quanto non si possa fare tramite un PC? Date uno sguardo qui e qui.

E' evidente che si ha paura delle cose che non si conoscono. Un tempo erano le comete a portare sventura... ora sono Internet, le nuove tecnologie le incognite che mettono ansia e insicurezza, poiché si ha difficoltà a padroneggiarle...

Intanto anche oggi su La Stampa il Ministro Fioroni conferma che "Le lacune degli studenti italiani sono enormi. Ma lo sono soprattutto nelle materie scientifiche e in matematica: "Il 44% degli studenti ammessi con debito alle classi delle superiori ha un debito proprio in matematica"

Eppure il problema non risiede nella scienza, ma nel modo in cui si fa divulgazione attraverso i media. Lo ha dimostrato infatti il Prof. Piergiorgio Odifreddi organizzando il festival della matematica che si è tenuto all’Auditorium di Roma a marzo e che ha attirato folle di migliaia di giovani, tanto che si sono dovute allestire sale supplementari per il tutto esaurito. O che dire della notte europea della ricerca e della notte dei ricercatori, dove scienziati e famiglie si sono incontrati per divertirsi e scoprire un mondo fatto non solo di esperimenti e di nuove conoscenze, ma anche di musica e giochi.

Insomma: quando si fa una sana divulgazione scientifica, la gente apprezza, accorre in massa e si diverte pure.

Sicuramente i mass media tradizionali non aiutano molto a fare chiarezza.

Tuttavia forse qualche cosa sta cambiando nel modo di fare comunicazione. Internet ha segnato il giro di boa per cui è statisticamente risaputo che sempre più persone usano la Rete molto più di quanto non passino ore davanti alla TV.

Ed è di oggi la notizia che Wikipedia, l'enciclopedia a contenuto libero e redatta in modo collaborativo da chiunque navighi in rete sta diventando sempre più un punto di riferimento anche per gli scienziati.

Questi ultimi vi partecipano oltretutto non solo come fruitori ma anche come redattori e, ancora una volta in linea con i tempi che corrono troppo veloci, si sta modificando il modo di fare, di gestire, di migliorare la conoscenza.

Se ne parla sull'ultimo numero della rivista New Scientist.
Che sia un punto di svolta?


Claudio Pasqua
http://www.thedailybit.net/index.php?method=section&action=zoom&id=2363
"Gli italiani sono parlati da una lingua"

Questo non si capisce davvero!
Sono ancora meravigliata da questa frase sgrammaticata!
Grazie di queste illuminazioni chissà come avremmo fatto senza di te...
:-DD
sono alla sua disposizione.DDDD
eh eh eh è come se fosse una frase inglese pero' in italiano (che non avrebbe neanche senso in inglese). We ARE supposed to be tere on time, it's been said.
Comunque li leggete ANCORA sti articoli che incolla inf? complimenti, io non ce la faccio più:-)
E' stato facile incollare gli articoli sul forum, pensando che noi non li avessimo letti (del resto uno era su Repubblica + di 10 giorni fa). Penso che se Infy vuole fare una critica, dovrebbe saperla fare bene. Ma stavolta neanche chi ha scritto gli articoli li ha scritti bene, che bella figura! Come se trattassero da ignoranti noi lettori, vero? Su internet (da Wikipedia in poi) ci sono scritte un sacco di cose non corrette ne' per forma ne' per contenuti.
stefantastica :
COMPUTER: ITALIANI ANALFABETI NELL’U.E.
E’ quanto emerge da una ricerca di Eurostat, secondo cui il 59% dei connazionali è restio all’utilizzo degli elaboratori elettronici e non ha gli elementi base per utilizzare un mouse. Vada per gli analfabeti informatici che sono nella fascia di età dei più anziani, tra i 55 e i 74 anni, pari all’87%, ma quello che stupisce è però che il 50% degli italiani che hanno tra i 25 e i 54 anni non hanno cognizione di hardware e sistemi operativi. Lo studio dell’Eurostat mette in evidenza un ritardo del nostro Paese nelle tecnologie informatiche che si giustifica solo con gli scarsi investimenti nel settore.

Siamo a livelli ancora molto modesti, ma che vanno valutati alla luce delle performance di segno negativo registrate dal settore degli ultimi anni, che ha subito i pesanti contraccolpi della crisi economica generale.

SOLO I GRECI STANNO PEGGIO DI NOI

Per le conoscenze informatiche, peggio di noi ci sono solo i greci, allergici alle tecnologie elettroniche per il 65% della popolazione. Lo studio dell’Eurostat conferma che in Europa, dove la media degli analfabeti informatici è del 37%, sono gli scandinavi i più portati per le nuove tecnologie: solo il 10% dei danesi, infatti, non sa usare il computer, come l’11% degli svedesi e, fuori dall’U.E., il 10% dei norvegesi. Per quanto riguarda i cosiddetti “maghi” del computer, questi si collocano per la maggior parte nella fascia dei giovanissimi (tra i 16 e i 24 anni). Al primo posto i giovani della Slovenia con il 67% di “maghi”. Ma attenzione! Notizie dell’ultima ora dicono che i greci stanno mettendo la freccia per il sorpasso!

SI SPENDE TROPPO POCO IN INFORMATION TECHNOLOGY

L’Italia non si sviluppa, la sua economia non cresce perché non innova e, in particolare, non investe in Information Technology. Il Paese è agli ultimi posti mondiali per investimenti fissi.

In Italia si investe poco nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, inoltre il valore della ricerca in questo campo, sia con fondi pubblici che con quelli privati è dell’1,2%. Al di sotto della media fissata con gli accordi di Lisbona che la stabilisce al 3%. I conti con l’estero del settore dell’information technology sono sempre più “rossi”.

E uno dei motivi di questo ritardo è da attribuire anche all’uso di internet che, in Italia, ha ancora una valenza troppo ludica: è il mezzo per scaricare musica, condividere momenti di svago e intrecciare relazioni interpersonali. In questo, i giovani italiani non sono diversi dai loro coetanei europei. Ciò che sembra mancare è lo scatto verso l’altro uso, più responsabile e avanzato della Rete: altrove il Web rappresenta l’accesso alla conoscenza per milioni di giovani, che online colgono l’occasione per restare informati, aggiornarsi, lavorare e acquistare. Nonostante i tentativi, anche la scuola non sembra essere riuscita a far passare questo messaggio, anche perché i docenti sono poco se non del tutto impreparati e sicuramente non ci aiutano i media tradizionali, pronti a dipingere il Web come un luogo pittoresco, a volte divertente a volte pericoloso, ma raramente come uno strumento di sviluppo e crescita.

E LA BANDA LARGA WI-FI?

Mentre nel nostro Paese si sta ancora procedendo a rilento per portare la banda larga ovunque, in Lettonia e in Estonia i ragazzi possono collegarsi alla Rete in modalità wireless su autobus di linea o treni pendolari. Proprio questo dato dovrebbe allarmare: Paesi che fino a poco tempo fa venivano considerati appena sopra il terzo Mondo, in realtà hanno conosciuto un exploit incredibile riguardo l’innovazione tecnologica ed oggi stanno ponendo le basi per essere autorevoli concorrenti nello sviluppo e nei mercati. E in Spagna che ci hanno superato per tecnologie, ormai è molto diffusa la banda larga “sociale”. Il modo più semplice per connettersi ad internet gratuitamente, mettendo a disposizioni della comunità la connessione WI-FI FON. Una specie di ADSL “condominiale” che offre a tutti un collegamento semplice su banda larga anche in mobilità.Per questo bisogna chiamare in causa il Governo italiano che non ha ancora stabilito le regole del WI-FI, relegandoci così agli ultimi posti nel Mondo per crescita tecnologica
http://paoloinnocenti.wordpress.com/2008/01/10/computer-italiani-analfabeti-nell%E2%80%99ue/
wikipedia la puo' 'scrivere' chiunque,posso mettere un'articolo io e chi vuole. A volte a parte gli errori grammaticali ce ne sono molti altri, per es. informazione sbagliata etc.
Eh il bello è che chi ha scritto questo articolo ha fatto un errore, forse di piu' e parla di chi non sa parlare bene.

Inf. se potessi fare un commento tuo faresti mooolto meglio. Incollare articoli non è molto difficile ,lo puo' fare chiunque. Non si sa mai cosa pensi, non si sanno mai le tue opinioni. Da quello che incolli una cosa è trasparente. Parli sempre male dell'Italia e degli Italiani. Invece di fare copia incolla potresti spiegarci il motivo per cui ti da'fastidio tutto cio' che è italiano... sarebbe più interessante.
Standing ovation per lena.... :-)
Standing ovation! Mi alzo anch'io dal PC! :-)
Infuś, anche se tu incollasi delle cose giustissime (qua assolutamente non voglio confermare la tesi dell'analfabetismo), ma se non dai qualcosa da te stesso, anche un'opinione di un valore scarso, nessuno o quasi nessuno avrà voglia di commentare questo che hai incollato.
Nella storia della filosofia vi sono stati due momenti in cui la discussione sul PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONE ha particolarmente infervorato gli animi: al primo momento si lega il nome di Aristotele, al secondo quello do Hegel. Aristotele formulň il principio di contraddizione quale legge suprema del pensiero e dell'ente. Nell'aspra polemica, talvolta colma di rabbia e disprezzo, egli attaccava chiunque si rifiutasse di riconoscerlo come tale: Antistene e la sua scuola, gli eristici di Megara, i sostenitori di eraclito, i seguaci di Protagora. Aristotele uscě vittorioso da questa disputa; e la forza delle sue argomentazioni fu tanto grande, che per molti secoli nessuno osň opporsi a questo principio supremo. Soltanto hegel diede nuova vita a quelle idee che Aristotele aveva sepolto, e ci fece credere che la realtŕ fosse razionale e al tempo stesso contraddittoria. Restituě cosě dignitŕ ai sofisti greci, fino a inserire nel suo sistema logico le affermazioni di Eraclito. La scienza della contraddizione hegeliana fece nascere una nuova appassionata discussione in cui, attraverso le parole di Aristotele, si cercava di seppellire lo stesso Hegel.
Oggi queste dispute sono sorpassate e la problematica del principio di contraddizione non č piů attuale. Tanto meglio, visto che cosě č possibile rifletterci sine ira.
Oggi, come nei tempi antichi, crediamo che il principio della contraddizione sia la legge piů sicura del pensiero e dell'ente, che solo un folle potrebbe negarlo, che la sua veritŕ s'impone a ciascuno con un'evidenza immediata e che questo principio non esige alcuna giustificazione né puň averla. Cosě ci insegnň a credere Aristotele. Non c'č dunque da stupirsi che nessuno badi piů a una questione cosě chiara, indubitabile e definitivamente risolta.
Tuttavia, che in filosofia esistano dei principi intoccabili, č un male; č ancora peggio se tali principi sono infondati;


E' un male ancor maggiore se questi principi , intoccabili e infondati, sono stati giŕ in passato oggetto di una violente disputa. Com'č possibile che un principio discutibile che nessuno riesce ad accettare sia stato considerato tanto sicuro da non sembrare nemmeno lecito metterlo in questione? Dov'č finita la critica scientifica, di cui oggi siamo cosě fieri?

Figura preminente della cosidetta "scuola polacca", Jan Lukasiewicz (1878-1956), č noto sopratutto tra i primi ad introdurre le cosidette "logiche polivalenti", ossia a piů di due valori di veritŕ. Lukasiewicz, suggestionato dalla scoperta delle geometrie non euclidee, cioč di possibili alternative assiomatiche a una dottrina che era parsa per oltre due millenni unica e indubitabile, si interroga fin dall'inizio su quale potrebbe essere una rivoluzione equivalente nel campo della logica. Ed ecco che la direzione di studio pore inevitabile: si deve valutare se esistano le alternative alla logica aristotelica.
Sappiamo che Lukasiewicz, giŕ nel 1910 si interrogava sulla possibilitŕ di logiche non aristoteliche. La conclusione a cui giunge, come ben sappiamo, č la formalizzazione di un calcolo proposizionale trivalente, ossia che ammette, accanto al vero e al falso, un terzo inermedio valore di veritŕ. Ciň che, tuttavia, come egli stesso ben comprende nella piena maturitŕ, rappresenta un esito che anziché "non aristotelico", meglio si definirebbe come "non crisippico". La posizione di Aristotele sul principio del terzo escluso appare infatti assai complessa, e per niente tale da giustificare conclusioni deterministiche, come bene testimonia il nono capitolo del "Dell'espressione" sui futuri contingenti; cui il celebre "On Determinism" di Lukasiewicz sembra essere un puntuale commento con consistenti raffinamenti suggeriti proprio sul piano logico-formale dai nuovi calcoli polivalenti da lui introdotti.E cosě in fondo ad uno studio estremamente attento e profondo, Lukasiewicz si ritrova infine, in una sintonia forse inaspettata con quell'Aristotele la cui possibile contestazione aveva segnato la linea di ricerca della sua gioventů. Il contrapposto antitetico sarŕ, semmai, il determinismo atomistico democriteo, prima, e , piů tardi lo stoicismo e la logica proposizionale crisippica. En passant, vale la pena di notare, che proprio Lukasiewicz č tra i primi a rendersi conto della diversa natura della logica aristotelica e di quella stoica, essendo la prima un calcolo predicativo, proposizionale la seconda. E questo mette fine alla ingiustificata contrapposizione tra la teoria del sillogismo e quella degli apodittici.
e allora?
Aristotele non giocava a calcio.
Uscì vittorioso contro gli eristici di Megara...
Ma Infy lo sa dov'è Megara? Ah, la partita era in trasferta!
Però c'è stato nella storia un calciatore brasiliano, Aristoteles...

Ho capito che significa Inf: infarinatura!
Quando uno sa le cose in superficie ma non è in grado di elaborare un commento originale, si dice che ha un'infarinatura. Non è sapere.
>"Gli italiani sono parlati da una lingua"
>
>Questo non si capisce davvero!
>Sono ancora meravigliata da questa frase sgrammaticata!

Ste, si vede che SEI PARLATA abbastanza bene DALLA TUA LINGUA;-D
stefantastica:
http://pornopolitica.wordpress.com/2008/02/09/il-liberismo-ha-i-giorni-contati/
meglio rinunciare, Ste, inf "non reagisce", "non comprende", continua a incollare romanzi e link come se la gente frequentasse un forum per leggere articoli e non esprimere il proprio pensiero... Inf = infarinatura? chyba tak...
Più probabilmente significa che ci ritiene tutti INFeriori alla sua sublime intelligenza per abbassarsi a confrontare la sua opinione con la nostra...
Hai ragione Little Mouse.
Un' altra interpretazione potrebbe essere "Infimo"= livello infimo,
il piu' basso. Invece di darci qualcosa in piu' ci sottrae tempo con le sue stronzate. Come se il piu' grande intellettuale e scienziato italiano fosse Paolo Cozza. Lo stesso livello.
Infarninatura??ahahhahaah oooo abbiamo un vero nick per lui. Io vi ho già detto di lasciar perdere perchè so che non reagisce. Gli ho già chiesto di smetterla ma è inutle. Ora che scrivo questo, cioè lo critico ogni volta che scrivo o faccio una traduzione mi deve dire la sua. Bhe almeno è appunto LA SUA.
Io sono sempre più convinta che quello che scriviamo è incomprensibile per lui. E' troppo schematico. Se non vede un'articolo si perde. Dobbiamo abituarci a sti articoli sul forum. mha!
buon giorno
Vedi inf alias hardak? Cosa ti dicevo? Come e' la tua disscusione con Italiani?
Copia -incolla e cosi via.
Ma forse sbaglio.
Avanti.:)
Salve a tutti
Scusate, lo so che non c'entra niente con il discorso che state proseguendo
pero' ...non volendo impazire devo far vedere a qualchuno questo testo. Purtroppo devo fare la traduzione e pur conosciendo tutte le parole ho dei dubbi , secondo me chi ha scritto questo testo e un bell' matto. Non ci sono le virgole e troppi articoli... che ne pensate.. aiutate mi perfavore

Il sistema di controllo della velocita' del motore presenta un circuito che arresta il motore delle applicazioni a caldo o ne provoca l'inattivita' quando la macchina raggiunge la velocita' minima impostata.
W systemie kontroli prędkości silnika występuje zwarcie, które go zatrzymuje, kiedy jest rozgrzany albo kiedy pojazd osiągnie minimalną ustaloną prędkość.
zwarcie to controcircuito, tu chodzi raczej o automatyczne blokowanie silnika ale dziekuję bardzo za zainteresowanie.... mi fa girare le scatole questa traduzione.
Non riesco capire come si fa scrivere in questo modo.... Un altro esempio della stupidita'
" POTENZIOMETRO
Solo per la manualita' manuale. regolare nel modo seguente: ....."

Per piacere non ditemi che questa frase e coretta....vorei (se possibile) leggere anche una opinione di un italiano.
La frase così com'è sembra sballata ... sarebbe meglio così: "solo per l'operatività manuale, regolare nel modo seguente ..."
Temat przeniesiony do archwium.
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