Lettera al CdS sulla Polonia nell'UE

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Ultimamente parecchi lettori del Corriere della Sera scrivono a Beppe Severgnini e a Sergio Romano in merito a varie questioni riguardanti la Polonia. Eccovi una lettera che è stata pubblicata oggi, e la rispettiva risposta di Sergio Romano:

"La prudenza dell'Ue

Caro Romano, la Polonia ha le carte in regola per stare dentro la comunità europea? Il regime dei due fratelli Kaczynski si spinge sempre più a destra fino a sconfinare apertamente nel fascismo. La legge sulla decomunistizzazione ha alzato una spada di Damocle su tutti i cittadini polacchi mettendoli sotto osservazione. Eclatante il caso del generale Jaruzelski che dovrebbe rendere conto di scelte drammatiche come la proclamazione dello stato di assedio che però salvarono la Polonia dall'invasione dei paesi del Patto di Varsavia. Gli omosessuali vengono apertamente perseguitati e scoraggiati dall'assumere incarichi pubblici. Perché l'Europa, così puntigliosa nell'esaminare le credenziali dei candidati all'Unione, tace e non fa niente per questo slittamento fascista del Paese che fu di Solidarnosc?

Giuseppina Ficarra

S. R.: Non credo che sia possibile parlare di "slittamento fascista " nel caso di un governo nazional- populista. Ma capisco la sua domanda e rispondo osservando che la prudenza dell'Europa si spiega probabilmente alla luce del caso Haider. Quando i democristiani austriaci si allearono, per la costituzione del governo, con i nazional liberali di Jörg Haider, l'Europa mise l'Austria nell'angolo dei cattivi e punì così un governo che avrebbe fatto una dignitosa e rispettabile politica europea. Da quando si accorse di avere commesso un errore, l'Europa è paralizzata dal timore di ripeterlo."
http://www.warsawvoice.pl/newsX.php/4324/735214121
http://www.corriere.it/solferino/severgnini/

L'arrivo dei persiani e il difficile futuro dell'Unione Europea

Beppe Severgnini,

Un po' per caso e un po' per libri, sono in giro tra Bruxelles, il
Lussemburgo e la Germania tropicale (bello vedere i tedeschi seminudi e felici a casa loro). Giorni fa ero in Polonia (Cracovia è la nuova "città europea dei ragazzi"; ci sono più Erasmus che passeri, nelle vie del centro).

Il futuro dell'Unione Europea si decide in questi posti, in queste ore. L'avrete letto o sentito: la presidenza di turno tedesca tornerà alla carica sulla Costituzione, che nessuno chiama più così. Approvata in 18 Paesi, è stata infatti cassata dai referendum francese e olandese nel 2005. Stavolta si parla (sottovoce) di "mini-trattato". Obiettivo: dare alla nuova UE (27 Paesi) regole nuove. Quelle attuali non funzionano più.

L'idea di introdurre la carica di presidente del Consiglio europeo non piace agli inglesi (ma se fosse Tonino Blair?). A Londra storcono il naso anche sul ministro degli esteri comune e sull'adozione di una "carta dei diritti fondamentali". Ma i bravi inglesi sono nasostorcitori professionali, e non ci facciamo più caso. Il problema sono i polacchi.

L'attuale sistema di voto, infatti, va aggiornato, in modo da facilitare le decisioni a maggioranza: una proposta passerà se votata dal 55% degli Stati che rappresentano il 65% della popolazione. Tutti d' accordo, meno la Polonia, governata dai gemelli Kaczynski. Lech è presidente; Jaroslaw primo ministro. Li differenzia un neo, li accomuna il cattivo carattere.

Oggi la Polonia (membro dal 2004, 39m di abitanti) ha 27 voti; la Germania (membro dal 1957, 82m d'abitanti) ne ha 29. A Varsavia sanno che bisogna cambiare, ma pretendono un nuovo meccanismo di calcolo dei voti, a loro favorevole. Se non verranno accontentati, minacciano di sabotare il vertice. Il presidente della Commissione, Barroso, è furioso. I tedeschi - dal governo ai giornali - sono sull'orlo di una crisi di nervi. A Colonia ho letto un titolo: "Polen nerven - I polacchi rompono".

Chissà: forse i tedeschi non ci sanno fare coi vicini orientali. Di sicuro il duo Kaczynski è difficile quanto i fratelli Dalton. Ma c'è di più: ed è colpa nostra.

Mettiamola così: siamo più commossi noi all'ovest, pensando ai popoli dell'est tornati nella "casa comune europea", che i diretti interessati. Varsavia, Praga e Budapest (ma anche le capitali baltiche e balcaniche) emanano insofferenza e rivendicazioni. Eppure ricevono aiuti, aperture commerciali, possibilità di lavoro. Ingrati o delusi?

La risposta sta nelle frasi con cui l'ungherese Imre Kertész, premio Nobel per la letteratura nel 2002, ha chiuso l'intervento all'Accademia delle Arti a Berlino, giorni fa. "Quando i Paesi dell'Europa dell'Est allungarono le braccia in cerca di sostegno verso le democrazie dell' Europa occidentale, ottennero solo una stretta di mano e una pacca sulle spalle (...). Non c'è dubbio che all'inizio del XXI secolo, dal punto di vista etico, ci troviamo abbandonati a noi stessi. Una civiltà che non dichiara apertamente i suoi valori o li pianta in asso procede verso il declino (...). Quando penso alla futura Europa la immagino forte, sicura di sé, sempre pronta a trattare, mai opportunistica. Non dimentichiamo che dopotutto l'Europa è nata da una decisione eroica: la decisione di Atene di opporsi ai persiani".

Domanda: c'è bisogno che arrivino i persiani, per capire che è bello, giusto e utile stare insieme? Non possiamo scriverlo chiaro, e ripeterlo spesso, invece d'affidarlo ai comunicati finali dei vertici europei, che sembrano fasulli come i sorrisi nelle fotografie?
Che bello osservare il panico di figli di puttana di sinistra e dei masoni, che bello;))))
Come sempre raffinato... ;-P
Certo:)))) Magari di nuovo dobbiamo ascoltare che abbiamo perso una chanse di stare ziti? Adesso il panico dei tedeschi e' ovvio e chiarissimo. Non possiamo mollare!!!
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