Bardzo prosze o mamle tlumaczenie... prosszzeee :)

Temat przeniesiony do archwium.
Zastanawiam sie dlaczego jeszcze czekam na telefon od ciebie, jestem juz pewna ze to koniec! tylko dlaczego niemasz odwagi mi tego powiedziec?? i dlaczego klamiesz?? jesli sie myle prosze wyprowadz mnie z bledu!


bardzo prosze o pomoc! z gory dziekuje.
Sto pensando, come mai aspetto ancora una tua telefonata, visto che sono sicura che è già finita tra noi! Perchè non hai il coraggio di dirmelo? Perchè dici le bugie?? Se mi sbaglio, coreggimi!
sto pensando perchè ancora aspetto alla tua chiamata, sono sicura che tutto è finito.ma perchè non hai il corragio di dirmelo???perchè mentisci?se mi sbaglio ti prego dimmelo!
Barbarait moze ty mi pomozesz bo z paroma slowami nie umiem sobie poradzic bede ci wdzieczna!!!
>najlepszy tandem, najlepszy duet
>najslodsze chwile spedzone razem
>zawsze uskrzydleni
>bezbledni partnerzy
>do tansca i do rozanca
>amor moze poszczycic sie osiagnieciami na waszym przykladzie
>i tak karoca jedzie w rozkwicie para co kocha sie cale zycie
>kolejnego dnia szczescia
Mysle dlaczego wciaz czekam na twoj telef.jestem pewna ,ze wszystko sie skonczylo.Ale dlaczego nie masz odwagi powiedziec mi,dlaczego oklamujesz.jesli sie pomylilam to powieedz mi to!
zastanawiam sie dlaczego...i jak wyzej
In una notte scura e stellata, un gruppo di Pellerossa stava accovacciato intorno ad un falň. Improvvisamente il guerriero piů anziano si alzň in piedi. Il suo volto era vecchio e bruno come la terra e portava sulle spalle una coperta dai vivaci colori. Cominciň a narrare la storia dell’inizio del mondo…


Quando Coyote, il cane del deserto, teminň di creare il mondo, prese il vento, che era fatto a forma di conchiglia, e rovesciandolo, formň il cielo. Dispensň vivaci colori ai cinque angoli del mondo e un arcobaleno si alzň nel cielo a dividere la notte dal giorno.

Poi si accucciň, ululň e il sole e la luna cominciarono a muoversi nel cielo.
Coyote riempě le pianure di alberi e di stagni e di montagne e di fiumi e fece tutti gli animali.
“Per ultimo e come cosa migliore farň l’Uomo” mormorň a mezza voce.

Gli animali lo udirono e vollero aiutarlo. Cosě si sedettero tutti in circolo nella foresta; Coyote, l’Orso Grigio, il Leone, l’Orso Biondo, il Cervo, la Pecora, il Castoro, il Gufo e il Topo.

“Puoi fare Uomo della forma che piů ti piace” disse il Leone, “ma io credo che dovrebbe avere denti aguzzi per masticare la carne e anche delle lunghe zampe.” “Come le tue?” chiese Coyote. “Beh, sě, come le mie”, rispose Leone. “Avrŕ bisogno anche di una pelliccia e di una voce forte e potente.” “Come la tua?” chiede di nuovo Coyote. “Come la mia”, rispose Leone.

“Nessuno vuole una voce come la tua” interruppe Orso Grigio. “Tu fai scappare tutti. Uomo deve poter camminare sulle zampe di dietro, deve poter afferrare gli oggetti con quelle davanti e stringerli fino a schiacciarli.” “Come fai tu?” chiese Coyote. “Beh, sě, come faccio io.” Replicň Orso Grigio.

Cervo tremň nervosamente e gettando timide occhiate al di sopra della spalla disse: “Cos’č tutto questo parlare di divorare carne e di distruggere le cose? Non č bello. Uomo deve poter sentire quando č in pericolo e scappar via velocemente. Dovrebbe avere orecchie come conchiglie marine per poter sentire ogni piů piccolo suono, e occhi come la Luna, che vede tutto; e naturalmente corna ramificate; avrŕ assoluto bisogno di corna.” “Come le tue?” chiese Coyote. “Beh, sě, come le mie” rispose Cervo.

“Come le tue?” scherně Pecora.”Ma a che servono le corna ramificate? Aggeggi appuntiti che si impigliano in tutti i rami e cespugli! Come farebbe a dare cornate? Ma se invece avesse due cornini ai lati della testa….” “Come i tuoi?” chiese Coyote. Pecora, offesa, tirň su col naso. Non le piaceva essere interrotta. Allora saltň su Castoro e disse: “Vi state dimenticando della cosa piů importante: la coda di Uomo. Code lunghe e sottili possono andare bene per scacciare le mosche, credo. Ma Uomo deve avere una coda larga e piatta. Come farebbe a costruire dighe nel fiume?” “Come le tue?” chiese Coyote. “Nessuno sa fare dighe come le mie” disse Castoro con superbia.

“Sentite me” squittě Topo. “L’Uomo che volete fare č troppo grande. Fareste meglio a farlo piccolo.”

“Tutti matti siete!” gridň Gufo. “E le ali? Non ci avete pensato alle ali? Se volete che Uomo sia il migliore degli animali, deve poter volare. Deve avere le ali!” “Come le tue?” chiese Coyote. Ť Ma č tutto quello che sai dire ? ť si lamentň Gufo. “Non hai idee tue?”

Coyote balzň in piedi e avanzň al centro del cerchio. “Stupidi animali. Non so proprio a cosa stessi pensando quando vi ho fatto. Volete tutti che Uomo sia esattamente come voi!”

“Immagino che invece vorresti che fosse come te, vero Coyote?” ringhiň Orso Biondo.
“E come faremmo allora a distinguerci?” replicň Coyote. “Tutti potrebbero indicarmi e dire: “Ecco Uomo.” E poi indicherebbero Uomo e direbbero: “Ecco Coyote! No, no, no, Uomo deve essere differente.”

“Ma con le ali!” gridň Gufo.
“E corna ramificate!” bramě Cervo.
“E dei bei cornini!” belň Pecora.
“E deve avere una vociona!” tuonň Orso Grigio.
“E deve essere piccino!” squittě Topo.
“E non senza coda!” aggiunse Castoro.

Ma nessuno lo udě. Tutti erano troppo occupati a litigare. Mordendo e caricando, gli animali lottarono nella foresta mentre Coyote stava a guardare scuotendo la testa.

Peli e piume, unghie e pezzi di corna volavano tutt’intorno. Coyote li raccattň, li mise di nuovo insieme e creň altri animali ancora, come Cammello e Giraffa.

Presto tutti gli animali giacquero in un ammasso confuso, troppo stanchi per continuare a combattere.
“Mi pare che ora riuscirň a trovare la risposta”, disse infine Coyote.
Gli animali lo guardarono di sottecchi e alcuni gli ringhiarono contro.

Ma Coyote parlň ugualmente.
“Orso aveva ragione dicendo che Uomo dovrebbe camminare sulle gambe di dietro. Cosě potrŕ salire sugli alberi. E Cervo era nel giusto dicendo che dovrebbe avere udito fine e vista acuta. Ma se Uomo avesse ali, cozzerebbe la testa contro il Cielo. L’unica parte simile ad un uccello di cui ha bisogno sono le lunghe estremitŕ dell’Aquila. Credo che le chiamerň dita. E Leone aveva ragione dicendo che Uomo dovrebbe avere la voce forte. Ma ha anche bisogno di una vocina per non spaventare troppo. Uomo dovrebbe essere liscio come Pesce, che non ha peli che gli facciano caldo. Ma la cosa piů importante di tutte, disse Coyote infine, č che Uomo deve essere piů intelligente e furbo di tutti voi!”
“Come te”, borbottarono tutti gli animali. “Beh, sě, grazie”, rispose Coyote, “Come me.”

Ci fu un gran rimescolěo fra gli animali, ringhi irati e sibili e poi tutti insieme gridarono. “Siediti Coyote! Le tue stupide idee non ci piacciono!” “Bene”, disse Coyote pazientemente. “Facciamo una gara.
Ognuno di noi farŕ un modello di Uomo col fango. Domani esamineremo tutti i modelli e decideremo qual’č il migliore.”

Tutti gli animali corsero via a cercare dell’acqua per fare il fango. Gufo fece un modello con le ali. Cervo ne fece un altro con lunghe corna e grandi occhi. Il modello di Castoro aveva la coda larga e piatta. Topo fece un modello piccolino.
Ma Coyote fece l’Uomo.

Il sole tramontň prima che essi riuscissero a finire i loro modelli. Cosě si accoccolarono nel folto della foresta per dormire.
Tutti eccetto Coyote.

Egli prese l’acqua dal fiume e la versň su tutti gli altri modelli. La coda di fango di Castoro venne spazzata via. Le corna di fango di Cervo vennero spazzate via. Le ali di fango di Gufo vennero spazzate via.

Coyote soffiň la vita nel naso del suo modello di Uomo fatto di fango e quando gli altri animali si svegliarono, trovarono un nuovo animale nella foresta.
Il suo nome era Uomo.”


Dopo aver pronunciato queste parole, il vecchio guerriero si sedette, avvolgendo la coperta intorno a sé.
Mentre il fulgore del fuoco si spegneva, sedette, silenzioso come la terra stessa, fissando l’oscuritŕ.

E in lontananza risuonava il grido del coyote.
przykro mi Izo, ale tu wchodzimy juz na teren wyrazen idiomatycznych, moze ktos, kto dysponuje takim slownikiem mòglby byc bardziej pomocny :)
pozdrawiam i dziekuje za zaufanie ;)
co ty robisz? zaloz sobie watek "moje opowiadania"i tam sobie wklejaj te pierdoly!!!
no kurcze wlasnie! sama to napisze, ale bankowo z bledami, ale fajnie, ze odpowiedzialas!!!!dzieki to moze ktos inny???
Un giorno un uomo disse a sua moglie:
"Non so davvero cosa fai delle tue giornate. Non devi fare altro che pulire la casa, badare al bambino e cucinare un boccone"
"Devo anche governare la mucca e il maiale, e devo fare il burro" si scusň la moglie.
"Ohhhh" sbuffň il marito "quelle sono sciocchezze. Io sono l'unico che lavora in questa casa! Tutto il giorno nei campi sotto il sole ardente. Magari fossi una casalinga e me ne potessi stare tutto il giorno a casa!!!"
"Allora prenditi una giornata di riposo domani" disse la moglie, "Io andrň nei campi e tu ti occuperai dei lavoretti di casa"
L'uomo rise: " Questa sě che č una buona idea, cosě ti farň vedere come si tiene la casa e tu capirai che lavoro duro č il mio!"
Il mattino seguente, come d'accordo, la moglie prese la falce e andň nei campi a mietere.
"Per prima cosa farň un po' di burro" decise l'uomo, e riempě la zangola di latte fresco. Poi pensň che un buon bicchiere di vino gli avrebbe fatto bene, cosě andň in cantina, mise la caraffa sotto la botte e svitň il tappo.
In quel momento si ricordň del maiale...lasciň perdere il vino e corse su per le scale.
TROPPO TARDI!

Il maiale era giŕ entrato nella cucina e si era leccato tutto il latte. Gli toccň portarlo fuori e riempire la zangola di nuovo.
Intanto il bambino gattonava per il pavimento della cucina...ma mentre l'osservava si ricordň del vino! Lasciň perdere il bambino e corse in cantina.
TROPPO TARDI!

Tutto il pavimento della cantina era inondato dal vino uscito dalla botte, cosě gli toccň raccoglierlo e vuotarlo nell'orto.
"Visto che sono qui, coglierň la verdura per la minestra" decise...ma in quel momento si ricordň del bambino!
Lasciň perdere le verdure, aprě il cancello dell'orto e corse in casa.
TROPPO TARDI!

Il bambino si era arrampicato sulla zangola e aveva rovesciato tutto il latte! Latte sul pavimento, latte sul bambino, latte dappertutto!Lo raccolse e mise il bambino seduto ad asciugare al sole.
Fu allora che vide la mucca che vagava con aria affamata. "Non ho tempo di portarla fino al prato, la metterň sul tetto, lě c'č un sacco d'erba da brucare!"
Il tetto di stoppie della casa arrivava fin quasi a terra cosě riuscě a farvi salire la mucca, che si mise a brucare felice...ma in quel momento, l'uomo si ricordň del cancello dell'orto rimasto aperto!
Lasciň perdere la mucca e si precipitň nell'orto.
TROPPO TARDI!

Il maiale era entrato e aveva divorato tutte le verdure! Dovette farlo uscire e mettersi ad aggiustare i tralicci dei fagioli...ma in quel momento si ricordň della mucca! E se fosse caduta dal tetto addosso al bambino?
Lasciň stare l'orto e corse a casa. Fortunatamente la mucca brucava ancora sul tetto perciň, per sicurezza, le legň una corda intorno al collo e l'altra estremitŕ se la legň in vita dopo averla fatta passare per il camino fin dentro la cucina. "Cosě sarŕ al sicuro mentre preparo la minestra" disse, mettendo la pentola sul fuoco....ma improvvisamente la mucca scivolň dal tetto e cadde, sempre attaccata alla corda e l'uomo, attaccato all'altra estremitŕ, volň per aria! Volň fuori dal camino e si fermň lŕ in cima.
In quel momento, la moglie tornň dal campo.
"Sono tornata, il grano č tutto falciato" esclamň. Nessuno le rispose e allora si mise a cercare.
Trovň il bambino seduto al sole, l'orto distrutto e la mucca che penzolava dal tetto.
"Povera me, ma che č successo?" esclamň mentre tagliava la corda che legava la mucca con la falce. La mucca precipitň a terra muggendo e il marito, dall'altra parte, fině dentro la pentola della minestra!
La moglie si precipitň in cucina e lo trovň che si lamentava: "Che giornata, che giornata!"
"Non preoccuparti" disse la moglie "Andrŕ meglio domani, anche se č giorno di bucato e c'č da fare il pane. Io andrň a falciare l'altro prato...credo!"
"Oh no, no!" esclamň il marito "...voglio dire...non posso permetterti di fare tutto quel lavoro...Domani tu starai a casa e io andrň nei campi!"
Va bene caro, faremo come ogni giorno" rispose sorridendo la moglie.
ahahaha mi sono divertita proprio!!!!!!!!!!!!;D
Mala izka:) Freud ha ragione, sopratutto se consideriamo il "mal d'amore" nella manifestazione di "dipendenza affettiva" e vedremo come essa presenta parecchie caratteristiche delle dipendenze in generale. La differenza sostanziale è che questa forma di dipendenza si sviluppa nei confronti di una persona e ciò la rende più subdola e difficile da combattere.

Una premessa è d'obbligo: è normale che in una relazione, sopratutto durante la fase dell'innamoramento o quella più passionale, ci sia un certo grado di dipendenza, altrimenti non sarebbe neppure possibile godere dell'intimità e della profondità del rapporto stesso.

Ma nella dipendenza affettiva, intesa come forma patologica dell’amore, l’individuo dedica completamente tutto il suo corpo e tutta la sua mente all’altro, al fine di perseguire esclusivamente il suo benessere e non anche il proprio, come dovrebbe essere in una relazione "sana". I dipendenti affettivi, solitamente donne, nell’amore vedono la risoluzione dei propri problemi, che spesso hanno origini profonde quali "vuoti affettivi" dell'infanzia. Il partner assume il ruolo di un salvatore , egli diventa lo scopo della loro esistenza, la sua assenza anche temporanea da la sensazione al soggetto di non esistere (DuPont, 1998). Chi è affetto da dipendenza affettiva non riese a cogliere ed a beneficiare dell'amore nella sua profondità ed intimità. A causa della paura dell’abbandono, della separazione, della solitudine, si tende a negare i propri desideri e bisogni, ci si "maschera" replicando antichi copioni passati, quegli stessi che hanno ostacolato la propria crescita personale. Si tende ad instaurare una relazione simbiotica coll'altro

Proprio per questi motivi spesso questo tipo di personalità dipendente si sceglie partner "problematici", portatori a loro volta di altri tipi di dipendenza (droghe, alcol, gioco d'azzardo). Ciò sempre al fine di negare i propri bisogni, perchè l'altro ha bisogno di essere aiutato. Ma è un'aiuto "malato" in cui si diventa "codipendenti", anzi si rafforza la dipendenza dell'altro, perchè possa essere sempre "nostro". In questi casi la persona non è assolutamente in grado di uscire da una relazione che egli stesso ammette essere senza speranza, insoddisfacente, umiliante e spesso autodistruttiva. Inoltre sviluppa una vera e propria sintomatologia come ansia generalizzata, depressione, insonnia, inappetenza, maliconia, idee ossessive. Quasi sempre c'e incompatibilità d'anima, mancanza di rispetto, progetti di vita diversi se non opposti, bisogni e desideri che non possono essere condivisi, oltre ad essere poco presenti momenti di unione profonda e di soddisfazione reciproca A questo riguardo rinvio all'articolo sulla CODIPENDENZA

Chi è affetto da tale tipo di dipendenza s'identifica con la persona amata.La caratteristica che accomuna tutti i rapporti dei dipendenti da amore è la paura di cambiare. Pieni di timore per ogni cambiamento, essi impediscono lo sviluppo delle capacità individuali e soffocano ogni desiderio e ogni interesse.I dipendenti affettivi sono ossessionati da bisogni irrealizzabili e da aspettative non realistiche. Ritengono che occupandosi sempre dell'altro la loro relazione diventi stabile e durataura. Ma, immancabilmente, le situazioni di delusione e risentimento che si possono verificare li precipitano nella paura che il rapporto non possa essere stabile e duraturo, ed il circolo vizioso riparte, a volte addirittura "amplificato". Non ci si rende conto che l’amore richiede onesta e integrità personale perché l’amore è un accrescimento reciproco, uno scambio reciproco tra persone che si amano.Gli affetti che comportano paura e dipendenza, tipici della dipendenza affettiva, sono invece destinati a distruggere l’amore.

Spesso, anche se non sempre e necessariamente, la persona amata è irraggiungibile per colui o colei che ne dipende. Anzi, in questi casi si può affermare che la dipendenza si fonda sul rifiuto, anzi, se non ci fosse, paradossalmente, il presunto amore non durerebbe. Infatti la dipendenza si alimenta dal rifiuto, dalla negazione di sè, dal dolore implicito nelle difficoltà e cresce in proporzione inversa alla loro irrisolvibilità. A questo riguardo Interessanti sono anche le considerazioni della psichiatria Marta Selvini Palazzoli. A suo parere quello che incatena nella dipendenza affettiva è l' IBRIS, vale a dire la ingiustificata, assurda, sconsiderata presunzione di farcela. La presunzione di riuscire prima o poi a farsi amare da chi proprio non vuole saperne di amarci o di amarci nel modo in cui noi pretendiamo

La dipendenza affettiva colpisce, sopratutto il sesso femminile, in tutte le fascie d'età .Sono donne fragili che, alla continua ricerca di un amore che le gratifichi, si sentono inadeguate.Sono donne che hanno difficoltà a prendere coscienza di loro stesse e del loro diritto al proprio benessere che non hanno ancora imparato che amarsi è non amare troppo, che amarsi è poter stare in una relazione senza dipendere e senza elemosinare attenzioni e continue richieste di conferme.Nelle relazioni affettive, queste persone elemosinano attenzioni e continue conferme poiché tutto ciò aiuta a sentirsi sicuri e forti, contrastando così l'impotenza, il disagio, il vuoto affettivo che percepiscono a livello personale.

Attualmente, la dipendenza affettiva, non è stata classificata come patologia nei vari sistemi diagnostici psichiatrici, come il DSM IV e si cerca di farla rientrare nei vari disturbi contemplati in essi, anche se ricerche svolte in questo campo, come quelle di Giddens, la vorrebbero vedere come un disturbo a sé stante. Secondo quest'ultimo la dipendenza presenta alcune specifiche caratteristiche: L’"ebbrezza" (il soggetto affettivamente dipendente prova una sensazione di ebbrezza dalla relazione dei partner, che gli è indispensabile per stare bene).La “dose” - il soggetto affettivamente cerca “dosi” sempre maggiori di presenza e di tempo da spendere insieme al partner. La sua mancanza lo getta in uno stato di prostrazione. Il soggetto esiste solo quando c’è l’altro e non basta il suo pensiero a rassicurarlo, ha bisogno di manifestazioni continue e concrete. L’aumento di questa “dose”non di rado esclude la coppia dal resto del mondo. Se la dipendenza è reciproca la coppia si alimenta di se stessa. L’altro è visto come un’ evasione, come l’unica forma di gratificazione della vita. Le normali attività quotidiane sono trascurate quotidianamente. L’unica cosa importante è il tempo trascorso con l’altro perché è la prova della propria esistenza, senza di lui non si esiste, diventa inimmaginabile pensare la propria vita senza l'altro. Tutto ciò rivela un basso grado di autostima, seguito da sentimenti di vergogna e di rimorso. In alcuni momenti si è "lucidi" su questo tipo di relazione con l’altro, s'intuisce che la dipendenza è dannosa ed è necessario farne a meno. Ma subentra la considerazione di essere dipendenti e ciò rafforza il basso livello d'autostima personale e quindi spinge ancora di più verso l’altro che accoglie e perdona, ben felice, talvolta, di possedere. Quindi ogni tentativo di riscatto dalla propria dipendenza muore sul nascere.

A queste caratteristiche comune a tutte le dipendenze, elaborate da Giddens, nè aggiungerei, a mio parere, un'altra, non presente nelle altre dipendenze: la PAURA. Paura ossessiva e fobica di perdere la persona amata, che s'alimenta a dismisura ad ogni piccolo segnale negativo che si percepisce. A volte basta rimanere semplicemente soli per avere paura di un'abbandono definitivo.

Riepilogando i sintomi della dipendenza affettiva sono (l'elenco è lungi dall'essere esaustivo):

Paura di perdere l’amore
Paura dell’abbandono, della separazione
Paura della solitudine e della distanza
Paura di mostrarsi per quello che si è
Profondo senso di colpa e/o rancore e rabbia
Senso d'inferiorità nei confronti del partner
Coinvolgimento totale e vita sociale limitata
Gelosia e possessività

Si potrebbero riassumere le caratteristiche della dipendenza affettiva nella massima del poeta latino Ovidio: "Non posso stare nè con tè, nè senza di tè". Non posso stare con tè per il dolore che provo in seguito alle umiliazioni, maltrattamenti, tradimenti e quant'altro si subisce. Non posso stare senza di tè perchè è indicibile la paura e l'angoscia che si prova al solo pensiero di perdere la persona amata.

Personalmente ritengo che chi soffre di tale dipendenza è così attento a non ferire l'altro, da non rendersi conto che così ferisce gravemente sé stesso

ORIGINI

La dipendenza affettiva affonda la propria origine nel nostro passato affettivo e relazionale ed in particolare nel rapporto instaurato durante l'infanzia con i genitori. Probabilmente quest'ultimi hanno lasciato insodisfatti i bisogni infantili costringendo i bambini i cui bisogni d’amore rimangono inappagati ad adattarsi imparando a limitare i loro bisogni. Questo processo di limitazione può portare al formarsi di pensieri del tipo: “I miei bisogni non hanno importanza”o “non sono degno di essere voluto bene”.Da adulti, questi "bambini non amati” dipendono dagli altri per quanto concerne il proprio benessere psico-fisico e la soluzione dei loro problemi. Vivono nella paura di essere rifiutati, scappano dal dolore, non hanno fiducia nelle loro capacità e si giudicano persone non degne d’amore.I primi anni della vita, tra l’altro, sono fondamentali nel formare la propria autostima e i genitori giocano un ruolo essenziale nella sua creazione. L’autostima si sviluppa in maniera negativa o positiva a seconda l’esperienza vissuta, durante l'infanzia, con gli adulti significativi e continua a svilupparsi durante tutta la vita.

Di fronte ad un genitore freddo e non affettivamente disponibile, il bambino potrebbe mantenere il suo equilibrio affettivo cercando di minimizzare un comportamento dipendente verso un genitore che ha queste caratteristiche, con tutti gli effetti negativi che può comportare questo tipo di attaccamento verso la figura adulta (Bridges, Denham e Ganiban, 2004). Nel contesto dell'equilibrio, questa condizione potrebbe essere adattiva in quel momento, ma quel comportamento d'equilibrio (lo stile di attaccamento equilibrato verso il genitore), tolto dal repertorio infantile perché risultato non adattivo con quella figura parentale, potrebbe portare il bambino ad uno sviluppo emozionale deviante e condurlo a problemi emotivi e comportamentali, compresa la scelta di partners non disponibili affettivamente (Bridges et al., 2004).

Varie ricerche sono state condotte in tal senso. Werner e Silbereisen (2003), hanno riscontrato in una loro ricerca, che le ragazze che hanno un rapporto conflittuale con il proprio padre e non compiono esperienza di sostegno da parte sua, hanno maggiori probabilità di coinvolgersi in relazioni affettive patologiche. Un'insana relazione uomo-donna vissuta all’interno della famiglia sembrerebbe influenzare lo sviluppo delle scelte affettive femminili inducendo le donne, che hanno vissuto quest’esperienza negativa con il proprio padre, alla scelta di partners devianti. Anche donne che hanno vissuto una relazione affettiva deviante con il proprio padre, fatta di abusi sessuali e psicologici, risultano più fragili rispetto a quelle che invece hanno avuto una relazione serena ed appagante con il proprio genitore (Miller, 1994; Werner et al., 2003). La fragilità di queste donne sembrerebbe condurle verso relazioni affettive in cui elemosinano attenzioni e continue conferme da parte del proprio partner perché quando l’altro non c’è, il suo pensiero, non basta a rassicurarle (Amaro e Hardy-Fanta, 1995).

Vorrei concludere con delle considerazioni fatte da "studiosi" della problematica. In particolari riporto questo brano tratto dal libro "Donne che amano troppo" scritto dalla psicologa america Robin Norwood, la prima a studiare in maniera sistematica questa forma di dipendenza.

"Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo. Quando nella maggior parte delle nostre conversazioni con le amiche intime parliamo di lui, dei suoi problemi, di quello che pensa, dei suoi sentimenti, stiamo amando troppo.

Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza, o li consideriamo conseguenze di un'infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo.

Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento, ma ci adattiamo pensando che se noi saremo abbastanza attraenti e affettuosi lui vorrà cambiar per amor nostro, stiamo amando troppo.

Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo."

Significativo è un pensiero del poeta Kahlil Gibran che, pur non "occupandosi" di dipendenza affettiva, esplica molto bene le considerazioni fatte: "Amatevi, ma non tramutate l'amore in un legame. Lasciate piuttosto che sia un mare in movimento tra le sponde opposte delle vostre anime. Colmate a vicenda le vostre coppe, ma non bevete da una sola coppa, scambiatevi il pane, ma non mangiate da un solo pane. Cantate e danzate insieme e insieme siate felici, ma permettete a ciascuno di voi d'essere solo.":)
Mala izka:), skąd u Ciebie ta skłonność do wybuchów irytacji , i ten negatywizm? :)
ale jaka irytacja ja sie po prostu smieje z tego co piszesz z tych opowiadac kolezanko...upss...kolego;)
Mala izka:),nonostante l’assenza di veri e propri criteri diagnostici con cui individuare una Dipendenza Affettiva differenziandola dal più comune fenomeno dell’amore umano, sarà interessante osservare come gli studi degli psicoterapeuti si stiano affollando di individui (uomini e donne) che presentano tutti i sintomi del più grave tormento amoroso. Un tormento, tuttavia, che nell’amore non sembra proprio essere fondato.

Se prima di oggi i fenomeni di depressione e quelli di ossessività compulsiva, i disordini alimentari (bulimia e anoressia), gli attacchi di panico, le disfunzioni sessuali e i disturbi somatoformi, occupavano la stragrande maggioranza delle ore di lavoro di un terapeuta, oggi appunto un numero considerevole di casi sembra rimandare ad uno stato di vera e propria dipendenza; solo che questa invece di essere imputabile ad una sostanza (alcool, droga o medicinali) o ad un comportamento (gioco delle carte, dei dadi, dei cavalli ecc…), lo è ad una persona; spesso, anche se non sempre e non necessariamente, irraggiungibile per colui o colei che ne dipende.

E quello che colpisce il clinico, in tutti questi casi, non è tanto l’assoluta incapacità del paziente di sottrarsi ad una relazione che egli stesso è in grado di riconoscere senza speranza, insoddisfacente, umiliante e spesso autodistruttiva, bensì anche la gravità dei fenomeni che a questa fanno da sfondo: ansia generalizzata, depressione, insonnia, inappetenza, malinconia, fissazione del pensiero.

Certo… molte di queste manifestazioni sono proprie delle vicissitudini dell’amore ma, come vedremo, è appunto il quadro di riferimento ad essere assente: e là dove non è lecito parlare di amore, siamo allora in presenza di una Dipendenza Affettiva.




Come si può dedurre da questa breve introduzione, tutto rimanda alla possibilità e capacità di distinguere tra fenomeni che solo all’apparenza sembrano simili, ma che sottendono meccanismi di ben diversa natura. Da una parte l’amore umano, come manifestazione da parte di un individuo di trascendere se stesso e, insieme ad un altro, creare una realtà nuova e diversa da quella precedentemente esistente. Dall’altra la dipendenza affettiva, come manifestazione da parte di un altro individuo di rimanere bloccato in se stesso e nel proprio dolore, perché irretito in una dinamica simbolicamente identica a quella che nel passato ne ha fissato o condizionato la crescita.

La semplicità della definizione non deve però trarre in inganno: perché in superficie i due fenomeni appaiono davvero simili e le distinzioni non sempre sono così nette e marcate come ci si potrebbe aspettare. Può addirittura accadere che i due fenomeni a volte, anche se solo in minima parte, si sovrappongano, rendendo laboriosa l’individuazione delle possibili soluzioni.

Per orientarci dobbiamo comunque fare riferimento ad un concetto quanto più possibile esaustivo, ma nello stesso tempo elastico, dell’amore. Cos’è infatti l’amore? O meglio, più che interrogarci sulla sua natura – cosa che è sempre riuscita meglio ai narratori e ai poeti – possiamo chiederci: in quali condizioni si realizza? Quali sono i requisiti psichici che permettono agli uomini e alle donne di realizzare questa straordinaria esperienza di trascendimento di sé?

Personalmente, pur senza nessuna pretesa di aver letto ed elaborato tutto ciò che è stato scritto sul tema dell’amore, per illustrare tali condizioni sono solito fare riferimento a due testi principali: uno è “Il significato dell’amore” del filosofo russo Vladimir Solov’ev; l’altro è “Illusioni d’amore” della psicanalista Jole Baldaro Verde.

Secondo quest’ultima solo coloro che raggiungono la maturità genitale (in senso psicanalitico) possono riuscire a realizzare un vero e proprio rapporto d’amore. Coloro cioè che hanno felicemente superato tutte le precedenti tappe del processo evolutivo e sono perciò in grado di provvedere a se stessi sotto tutti gli aspetti, di essere autonomi nelle scelte, capaci di decisioni, soddisfatti di un lavoro che assicura loro non solo la sopravvivenza, ma anche gratificazioni e successo. “La coppia genitale – scrive J. B. Verde – è rappresentata da due persone che per oggetto d’amore hanno l’universo intero, attratti da ogni cosa nuova, arricchiti da ogni incontro, e che non hanno bisogno di creare intorno a se una prigione fatta di regole rigide dentro la quale si devono adattare. La loro sicurezza nasce, paradossalmente, dall’accettare l’insicurezza, l’ambivalenza, il rischio. Due persone per le quali la fedeltà non è un dovere, un impegno, una delle mura della “prigione sicurezza” ma è una scelta rinnovata ogni giorno, un libero dono che viene fatto ad un altro che risponde altrettanto liberamente.”

Il che rimanda alle considerazioni di V. Solev’ev per il quale l’amore si pone come l’unica forza al mondo capace di estirpare alla radice il nucleo egoico di ogni singolo individuo, uomo o donna che sia, e, trascinandoli oltre se stessi, di fargli realizzare una vera e propria, autentica trascendenza.

Sarà interessante osservare, a questo punto, che affinché il nucleo egoico possa essere trasceso deve prima necessariamente esserci. Deve essersi formato e consolidato all’interno dell’anima umana in modo da offrire stabilità, autonomia, sicurezza e non ultimo fiducia e gioia di vivere. Solo ciò che esiste può allora essere superato e appunto trasceso in un’esperienza – quella dell’amore - che si pone come una ulteriore e più significativa tappa del processo evolutivo umano.

È grazie all’esistenza di questo nucleo egoico che, nell’amore sano, è possibile donarsi senza la paura di perdersi, abbandonarsi senza opporsi, affidarsi senza resistere. Solo chi è forte – recita l’antica saggezza del Tao – può cedere, solo chi è elastico può flettersi senza spezzarsi, solo chi possiede se stesso può donarsi interamente e senza riserva alcuna.

E solo chi si è conquistato questo centro interiore è in grado di valutare serenamente il significato specifico della propria esperienza d’amore; e – magari con estremo dolore – di rinunciarvi là dove questa, per una qualunque ragione, si rivelasse limitata e limitante, dannosa, umiliante o addirittura distruttiva. Perché l’obiettivo intrinseco dell’amore, come esperienza umana, è pur sempre quello della crescita e della espansione dell’io, e, in definitiva, del piacere e della gioia di vivere. Sempre! Anche quando incontra ostacoli insormontabili come la malattia o la morte. Perché nella sua natura più profonda avrebbe dovuto comunque promuovere l’accordo intimo tra due persone, una simile visione della realtà del mondo, complicità, amicizia, e un senso di reciproca appartenenza. Tutte cose queste, che pur venendo improvvisamente a mancare, e pur sprofondando l’io di chi resta nel dolore atroce della perdita, ciò nonostante avrebbero dovuto lasciarlo arricchito di una esperienza che se da una parte può sembrare unica, dall’altra invece è ripetibile: quella di saper amare.

Per quanto possa sembrare ingenuo ai nostri occhi cinici di uomini moderni, ci si rifletta attentamente e si converrà che affinché si possa davvero parlare di amore tra due persone dovrebbero esserci reciprocità di attenzioni, rispetto, stima, desiderio e fiducia tradotti in un vissuto di gioia quotidiana. Fuori da un simile contesto ci sono solo Illusioni d’amore (tanto per citare ancora una volta J. B. Verde), molte delle quali poi decadono in vere e proprie Dipendenze Affettive.




Alcune domande fondamentali che ho imparato a rivolgere a coloro che si rivolgono a me per curare una supposta ferita d’amore, sono quelle relative alla descrizione del proprio compagno e delle esperienze vissute insieme. Quasi sempre c’è incompatibilità d’anima, mancanza di rispetto, progettualità diverse se non addirittura opposte, bisogni e desideri che non possono essere condivisi. E scarsi, se non assenti, sono stati i momenti di comunione profonda e di soddisfazione reciproca.

Perché allora continuare?

Perché tormentarsi nella speranza che le cose possano cambiare quando il supposto cambiamento è stato solo desiderato, sognato, immaginato ma mai sperimentato come possibile?

Perché non poter chiudere e allontanarsi, magari tra mille turbamenti, ma con la consapevolezza di una fine che era inevitabile per il rispetto di entrambi?

Perché restare sul posto, immobili… spesso indifferenti agli insulti e agli oltraggi… amplificando il proprio dolore a dismisura in una sorta di delirio sacrificale il cui orrore è pari solo alla sua inutilità?

E – soprattutto – perché questo stato di cose sembra non avere mai fine? Non essere limitato entro un ragionevole lasso di tempo entro il quale valutare le effettive opportunità di cambiamento…

Una osservazione superficiale potrebbe far ritenere il fenomeno dovuto alla minore capacità degli uomini e delle donne moderni di sopportare qualunque tipo di frustrazione, e di stabilire perciò dei legami di dipendenza non essendo semplicemente in grado di accettare il rifiuto di sé.

Ma non è così. Anzi… si potrebbe affermare addirittura il contrario: e cioè che la dipendenza si stabilisce appunto perché c’è il rifiuto. Se non ci fosse, quasi sempre il supposto amore finirebbe in un lasso di tempo incredibilmente breve.

Per quanto paradossale possa sembrare, la dipendenza si alimenta del rifiuto, della negazione di sé, del dolore implicito nelle difficoltà e cresce in proporzione inversa alla loro irrisolvibilità.

Quello che seduce è la lotta.

Quello che incatena – per usare le parole della psichiatra milanese Marta Selvini Palazzoli - è l’Ibris, cioè a dire la ingiustificata, assurda, sconsiderata presunzione di farcela. La presunzione di riuscire prima o poi nella vita a farsi amare da chi proprio non vuole saperne. O, secondo una serie di specifiche variabili, di riuscire a curare chi non può o non vuole essere curato, di salvare chi non può o non vuole essere salvato.

Ma ancora una volta, contrariamente a quello che può ritenere il buon senso comune, questa compulsione ad oltranza che spinge gli affettivo-dipendenti a permanere nella proprie inutili battaglie, non è determinata da una sorta di masochismo psichico. Non è il piacere per le proprie sofferenze che motiva tutte queste persone, bensì proprio l’opposto: la speranza inconsapevole di saturare una vecchia ferita. Di guarire da un male antico.

Perché il rifiuto, l’abbandono, la svalutazione di sé, l’umiliazione, hanno già fatto parte della loro vita emotiva; in un modo o nell’altro sono state queste le esperienze cruciali che hanno caratterizzato il delicato periodo formativo della loro personalità. Che ne è stata segnata!

In un’epoca in cui l’autonomia emotiva e la piena coscienza non potevano ancora essersi formate ci sono state laceranti esperienze di rifiuto e di abbandono da parte di uno o di entrambi i genitori, come conseguenza delle quali i bambini sono cresciuti in una sorta di anestesia che nasconde però sia l’ambivalenza dolore-rabbia per il mancato riconoscimento d’amore, sia l’atroce dubbio di non valere poi tanto e di dover fare di tutto per essere migliori.

La crescita copre la ferita… ma la lascia insanata.

Quando poi, nella vita adulta, si presenta una situazione simbolicamente simile a quella precedentemente vissuta è come se fosse colta al volo l’occasione di ritualizzarla per tentare di sanare il passato attraverso il presente. L’intento dell’inconscio non è sciocco né tanto meno auto-distruttivo. Piuttosto è ingenuo nel suo presumere di poter dimostrare una volta per tutte la propria disponibilità affettiva e il proprio valore, di conquistare (curare o sanare) l’essere tanto amato ma mai conquistato, e di venir così risarcito di tutto l’amore mancato.

Quasi mai l’Altro è visto per quello che è (spesso un egoista chiuso su se stesso, o un nevrotico senza speranza o un approfittatore senza scrupoli); piuttosto è immaginato come sarebbe qualora si lasciasse finalmente amare e con amore ricambiasse tanta dedizione. È di questa immagine, evocata come per incantamento nello specchio magico dell’inconscio, che il dipendente si innamora; senza accorgersi minimamente che dietro tale mascheramento occhieggia il volto del genitore che l’ha tradito.

L’ulteriore e ultimo paradosso consiste nel fatto che il rituale simbolico è percepito tanto più significativo – e dunque tanto più coercitivo - quanto più l’Altro si presenta affettivamente poco disponibile e non del tutto conquistabile, così come mai raggiunto e mai conquistato è stato l’adulto abbandonico. Non a caso la maggioranza degli affettivo-dipendenti confessa spontaneamente di non aver provato quasi mai attrazione verso Altri che, pur avendo tutti i requisiti per essere desiderabili, hanno commesso l’errore di testimoniare un gratuito affetto nei loro confronti. Come se la gratuità, appunto, avesse il potere di soffocare il loro desiderio, che solo nella morbosità della difficoltà e del rifiuto viene invece percepito e riconosciuto. In sostanza, più che di una immaturità cognitiva ed emozionale del dipendente, si tratta di una distorsione patologica della sua vita affettiva, ricalcata sull’impronta distorta impressa dal modello di relazionale primario.

Fermo restando che in qualunque relazione possono esserci brevi dolorosi momenti di mancata comprensione e incompatibilità, l’essenza dell’amore dovrebbe consistere nel piacere e nella gioia di condividere con un altro essere umano il mistero della propria vita. La dipendenza affettiva, al contrario, è caratterizzata da una tensione di incomprensioni e di ostilità, magari inconsce ma costanti, e dal ristagno dell’anima in condizioni quanto più dolorose e difficoltose… pena la fine dell’incantamento e la ricerca di una nuova relazione ancora più penosa e priva di speranza, in una coazione a ripetere pressoché infinita.:)
Temat przeniesiony do archwium.

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