Gianluca, mi spingi a postare qui,. come ringraziamento (veramente modesto) per quello che hai scritto.
Questo è quello che ho scritto quest'estate tornando a Rimini dopo uno dei miei frequenti viaggi in Polonia. E'solo per dirti che sottolineo quello che dici e lo condivido...
Tornare in Italia dalla Polonia non è stato facile, questa volta.
C'è un puntolino del cuore che s'è fatto di fiamma, di piombo. Pesava e voleva tenermi giù, a terra l'aereo, i piedi, tutto il mio completo giacca camicia calzoni, giù le ruote, giù le valigie. S'è fatto d'oro, e non voleva che andassi via più.
Anche perchè mi chiedeva cosa mai tornassi a fare, se davvero ne valesse la pena.
Quale vita potessi mai trovare di migliore.
Però sono partito. Cento volte ho avuto la tentazione di lanciare via la valigia (la valigia, che superava il limite consentito di trasporto, e che in qualche modo sono riuscito a far passare) e correre correre correre al di fuori dell'aereoporto rovente, dell'autobus strapieno, della fermata assolata, dietro ad un'altra vita.
Non bisogna andare via per qualche tempo: o per molto tempo, tanto da rimpiangere quello che si lascia, o per poco tempo, per evitare d'innamorarsi dei luoghi, delle persone, di una lingua straniera. Delle persone che si lasciano. O di una sola cosa, o di una sola persona, di un sol luogo che riassuma e moltiplichi tutto il resto.
Basta un istante d'un angolo di viso specchiato da una vetrina d'un caffè a riverberare accecante ogni cosa.
Così ci sono gli alberi e gli acquitrini lungo la ferrovia che da Wroclaw va a Poznan, il cielo che si specchiava nell'acqua ed i campi, irregolari, increspati e morbidi, le fattorie, qualche animale ed improvviso il giallo dei fiori di colza brillante controcanto del sole. Poznan, i palazzi bianchi, il castello nel centro del mercato, e le tombe dei primi Re della Polonia, d'oro e di cristalli colorati alle finestre, silenzi eterni e raccolti, precisi nell'indicare la via del tempo, pazienti le statue a guardare passare persone cose giorni, vedere la Polonia cambiare, passare di mano, crescere, morire e risorgere, senza mai nemmeno fare una smorfia, stringere appena gli occhi, forse soltanto piangere quando il cielo -così azzurro questi giorni!- si fa nero e la pioggia batte e batte, e solo i lampi dicono che attorno ancora c'è una città rintanata in casa.
E Wroclaw, con i tramonti sull'Odra che tingevano l'acqua ferma dei colori rosa e cobalto, ed un delicato arancio. Sull'ampia ansa del fiume scioglievano le vele i pensieri dei passanti, i ragazzi soli o mano nella mano, gli amici, qualche ubriaco agli angoli delle panchine (come a dire che il male c'è dappertutto, basta poco per lasciarsi andare, come a ricordare che forse è peggio chi mette il male nelle cose pure, belle, chi le avvelena di nascosto). Splendeva il sole, splendeva la città, l'aria leggera ed il traffico persino abbagliava nei vetri delle automobili e dei palazzi nuovi.
Per un istante l'ho vista un'altra vita, l'ho tenuta ferma per mano, nel mio sogno.
Ci sarà poi il tempo di raccontare, di divertirsi anche di quello che ho visto. Ora sorrido soltanto a questa tenue, ammaliante nostalgia.
Samuele Zerbini
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