Quando il nemico è in casa

Temat przeniesiony do archwium.
Le violenze in famiglia sono sempre più diffuse Un dramma su cui ora indaga un docu-film che sarà trasmesso da Rai3. Lo abbiamo visto in anteprima: raccoglie le testimonianze delle vittime abusate e picchiate dai mariti. Ma racconta anche gli interventi della polizia negli appartamenti dove le tragedie si consumano. Vi raccontiamo le loro storie
Lui la picchia “perché è innamorato”. Lei lo denuncia e poi si pente
“Ci siamo messi in contatto con le questure di 23 province per seguire il lavoro”
“Mi aveva annullato, convinto che non valevo niente”

Quella frase, gridata, sussurrata, esplosa, prima o poi le accomuna tutte: «Non ce la faccio più ». Sono le ragazze, le donne di ogni età che spezzano un legame che era d´amore ed è diventato un inferno: un sogno angosciosamente scivolato in un incubo che il più delle volte continuerà a rendere la loro vita insopportabile, anche dopo le denunce, la fuga da casa, la cacciata del compagno, la separazione, il cambiamento di città, la speranza di ritrovare finalmente pace e dignità; o che nei casi più funesti finirà nel sangue. Ma perché hanno aspettato certe volte anni prima di liberarsi del bruto che le minaccia, le pesta e le insulta, del nemico che le terrorizza e le umilia, del tiranno che le chiude in casa e che le pedina, del folle che le ritiene fonte di ogni male e di ogni vizio per il solo fatto di essere donna, la donna di loro proprietà? Per paura, per mancanza di denaro, per rassegnazione, perché non si fa, perché la famiglia non vuole e il parroco nemmeno, perché gli altri non devono sapere, ma anche, tante volte, e pare impossibile, per incrollabile amore. Il film La vittima e il carnefice di Mauro Parissone e Roberto Burchelli (in onda su Raitre il 4 giugno), parla di queste vittime e di questi carnefici, di queste donne e di questi uomini, non solo attraverso i racconti drammatici delle protagoniste, ma anche filmando in presa diretta gli interventi della polizia, le registrazioni telefoniche, gli appostamenti, le irruzioni negli appartamenti da cui vengono richieste disperate di aiuto.
«Volevamo raccontare storie vere nel momento in cui succedono», dice Parissone. «Ci siamo messi in contatto con le questure di 23 province, per seguire il loro lavoro di attenzione e prevenzione. Ci interessava riuscire a capire il momento di rottura, quello in cui è ancora possibile impedire che la persecuzione da parte di un maschio ossessivo degeneri sino ad arrivare all´assassinio, come purtroppo capita non così raramente; agli inizi del nostro lavoro era appena capitato a Sanremo, dove Luca Delfino, ex fidanzato di Antonella Multari, più volte denunciato ma mai arrestato, aveva finito per sgozzarla». Da un paio d´anni in tutte le questure si è creata una IV sezione che si occupa dei reati contro donne e bambini, che come è noto avvengono soprattutto in famiglia. E il film segue la squadra della IV sezione di Bologna, il suo paziente e attento commissario Delferraro, e uno dei suoi casi: quello di Francesca e di Salvatore, di una ragazza laureata e insegnante che si innamora di un ragazzo dolcissimo e pieno di attenzioni che poi si rivelerà pregiudicato, marchettaro gay e violento. Lei non lo vuole più, lui ha la prepotenza del padrone e non ci sta: la minaccia, la segue, si apposta, le telefona nella notte, le fa scene di gelosia, la chiama puttana, ninfomane, pazza, criminale e naturalmente tutto questo «perché è innamorato». Lei lo denuncia, poi si pente, poi cede perché malgrado tutto ne è attratta fisicamente e crede di poterlo cambiare, ma la tortura ricomincia, può succedere di tutto, la polizia protegge lei e diffida lui che non demorde, fino a quando gli danno il foglio di via. La storia non è finita, come non sono finite le altre che vediamo con i volti oscurati, storie vere, sconvolgenti, ripetitive, che diventano i numeri di agghiaccianti statistiche. La polizia entra nelle cucine in disordine, nei soggiorni dove bambini terrorizzati si rifugiano nelle loro camerette, in appartamenti borghesi o piccolo borghesi ma mai poveri, nel cuore di una delle tante venerate famiglie da family day, dove il marito pancione dentro una canottiera repellente piange dichiarando il suo amore per la moglie che lo vuole fuori dalla vita perché manesco, ubriacone, perché l´ha chiamata puttana davanti alla scuola, alla bambina, alle madri degli altri bambini. Seguiamo gli agenti negli inferni domestici, nella casa dove l´uomo che non accetta la separazione irrompe furibondo accusando la moglie che vive coi figli, di tradimento, di truccarsi, di bere il te con le amiche dopo il lavoro; in quella dove la ragazza marocchina incinta abbandonata dal compagno e sfrattata vuole buttarsi dal balcone, in altre in cui sono sempre le donne anche in età a non sopportare più quegli intrusi che si sono lasciati andare, che ciabattano per casa pigramente, che si fanno servire umiliandole, che le maltrattano; e sono sempre le donne esasperate a chiamare la polizia, a gridare ai giovani agenti spaventati, «questa vita non la voglio più, quest´uomo non lo voglio più, voglio che se ne vada!». Caterina, 30 anni, un bambino di due, che vive in un paesino in provincia di Massa Carrara, gli autori l´hanno trovata su Internet, in uno dei duecento e più blog in cui dialogano e cercano conforto migliaia di donne che vivono situazioni di disperazione e oppressione familiare, e ancora non hanno avuto il coraggio di denunciare i partner o di parlarne con parenti e amici. Caterina è fragile, affranta, ma anche decisa, ogni tanto le lacrime le bagnano il viso: «C´era tutto, l´amore con la A maiuscola, Davide mi riempiva di attenzioni, mi faceva sentire bella, importante, fortunata. Poi ha cominciato a tornare a casa ubriaco, ad essere violento, a buttarmi a terra, a minacciarmi col coltello, a dirmi che mi avrebbe portato via il bambino. Poi di colpo si metteva a piangere e mi supplicava in ginocchio, però rifiutava di curarsi e tornava cattivo, “Se esci da quella porta per te sarà un inferno” mi diceva». E Caterina finalmente da quella porta è uscita col suo bambino, e la loro vita è diventata un inferno. «Mi aveva annullato, convinto che non valevo niente, ma una volta fuori, mi sono ritrovata». Però la paura non la lascia, se vuole dormire va dai suoi genitori, se no resta sveglia in attesa del peggio, si barrica in casa, tiene di giorno le tapparelle abbassate e di notte la luce spenta, se esce ispeziona prima la strada: «Non voglio toglierti la vita, mi ha detto, ma solo distruggertela. Ma io se muoio ho già provveduto affinché mio figlio sia dato in affido a mio fratello». Caterina vive in un piccolo paese dove non c´è la questura, non c´è la IV sezione, proteggerla è più difficile: la sua storia è sospesa nella paura, va avanti così, non tornerà mai indietro pur sentendo che qualcosa di brutto prima o poi accadrà. Alle storie vere del film si alternano brevi intermezzi in cui le bambole Barbie, manovrate da una bambina, riproducono drammi reali di coppia: «È una invenzione cui teniamo molto» dice Roberto Burchielli, «perché ci serve a riprodurre quel tipo di trasmissione televisiva dove la gente comune litiga o fa finta di litigare, trasformando in spettacolo situazioni allucinanti che accadono nella realtà e che la finzione dello show rende innocue, una specie di gioco destinato a non lasciare traccia. Amori, gelosie, contrasti, tradimenti, vendette, persecuzioni, tutto finto, tutto in un unico copione scritto da altri, che cancella le vere tragedie con un cinismo colpevole». Pare strano che nell´imponente piano sicurezza varato dal governo, che colpevolizza in massa gli stranieri e ha già scatenato i primi episodi di razzismo, nessuno abbia pensato alla sicurezza delle donne soprattutto italiane vessate e anche ammazzate da partner e soprattutto ex partner. I fatti di cronaca nera si ripetono e si ammucchiano nel gelo delle statistiche, ma ognuno di quei numeri, di quelle percentuali, è un volto, un corpo, una vita, una singola tragedia. Secondo l´Istat del 2007, 2.983 mila donne italiane sono state vittime di violenza domestica, dai tentativi di strangolamento o soffocamento ai pugni, dalla minaccia con le armi ai calci allo stupro. In casa o fuori, da partner e soprattutto ex partner, ovviamente italiani. Un esercito enorme di vittime, essendo la violenza familiare sempre in aumento e ormai la prima causa di morte o di invalidità permanente delle donne. Per migliaia di loro vivere umiliate offese e picchiate sta diventando parte del “pacchetto amore”: infatti il 90% non denuncia il suo persecutore, rassegnato al fatto che giustizia la ottengono di sicuro solo quelle assassinate. Il precedente governo non ha fatto a tempo ad approvare come previsto il reato di “stalking”, quella forma di ossessivo controllo, appostamento, disturbo, pedinamento, intrusione, con cui partner o ex partner rendono impossibile e pericolosa la vita di tante donne. Il nuovo governo ha risposto al bisogno di sicurezza di donne e uomini italiani contro la criminalità straniera. Chissà se in un secondo tempo risponderà con la stessa energia al bisogno di sicurezza delle donne italiane contro il buon cittadino italiano che in casa si trasforma in criminale domestico. Con l´espulsione? Con le ronde? Con le spedizioni punitive? Con l’esercito?
Secondo l'Istat nel 92,5% dei casi le donne non denunciano
Tre milioni di vittime tra vergogna e silenzio
di Cinzia Sasso

Sono quasi tre milioni in Italia le donne che hanno subito violenze in famiglia. Donne che hanno studiato, che hanno un lavoro, che hanno figli, genitori, amici: non emarginate, povere, disperate. Donne che al mattino vanno in ufficio e al pomeriggio accompagnano i bambini ai giardini, le maniche lunghe a nascondere i lividi, il sorriso stampato per forza. Donne che nel silenzio hanno subito stupri nel letto coniugale, botte, minacce, ma anche violenza più sottile: la firma negata sul conto, i soldi con il contagocce, le offese, l´annullamento della personalità «sei uno zero, non sai fare nulla». Donne che - spiega l´Istat - nel 92, 5 per cento dei casi non denunciano quello che accade; che se chiedono giustizia alla fine l´ottengono solo nell´1 per cento dei casi e che forse anche per questo nel 33,9 per cento subiscono in silenzio, senza parlarne neppure con i familiari; che nell´80 per cento pensano che la violenza subita dal partner non sia un reato; che per il 44, 5 si sentono solo impotenti. Donne che non hanno paura ad uscire di casa, ma che la sera, dopo il lavoro, hanno il terrore a rientrarci. Donne invisibili, vittime di uomini al di sopra di ogni sospetto.
Carla è una di loro. Ha 42 anni, una laurea triennale, un lavoro da insegnante, due figli.Racconta: «La prima volta che mi ha picchiata avevamo parlato di un amico comune. Lui diceva che facevo la sciantosa. Mi ha trascinata giù dalla macchina tirandomi per i capelli, mi ha spinta su in casa, mi ha sbattuta davanti allo specchio. Ecco, guardala, la vedi la tua bella faccia, diceva. Io adesso te la rovino». Carla dice che non si ricorda quanto è passato: ricorda solo i calci, i pugni alla pancia, le sberle. Non ricorda le lacrime: «No, non so nemmeno se ho pianto. È che quando succede sei così annichilita che resti paralizzata, hai talmente tanta paura che accada qualcosa di peggio che tenti solo di limitare i danni». Poi lui ha finito. E si è seduto davanti alla televisione.
Carla e le altre. Quasi il ritratto in carne ed ossa di quello che statistiche raccontano coi numeri: aveva un uomo che ha amato più di se stessa, vivevano insieme in una bella casa; lui faceva l´imprenditore, era un tipo seducente, intelligente, generoso. Capitava che dopo i pestaggi le recapitasse in ufficio dei fiori e un biglietto «sai che sei l´unica donna per me». Il censimento dell´Istat fotografa proprio questo, la violenza domestica, ed ha portato alla luce una realtà che si nasconde dietro le mura protette di casa. Di quel lavoro Linda Laura Sabbadini, direttore generale, ha parlato anche all´Onu: perché l´Italia, in quanto a ricerca, su questo terreno è più avanti di tutti gli altri Paesi. Dice: «È un´indagine difficilissima perché va a rompere un impenetrabile muro di silenzio. L´immagine che passa è che il pericolo venga dal branco, dal bruto che incontri per caso, invece il 69 per cento degli stupri sono opera del partner, avvengono dentro il luogo più "sicuro", quello della "pace" domestica». Laura Da Rui è un avvocato: «I media danno un´eco spropositata a quello che succede per strada e chiudono gli occhi sul dentro. Su duecento casi di violenza che ho seguito, solo quindici sono avvenuti fuori, tutti gli altri in casa. E avvengono in una solitudine pazzesca: sono fatti privati, non li riconoscono i parenti, i vicini, gli amici. Ecco perché i pacchetti sicurezza non servono a niente: perché torni a casa e il problema lo hai lì, dove il maltrattamento è mischiato all´amore, dove il groviglio dei sentimenti rende tutto più opaco e ancora più terribile». Ancora Carla: «Bastava poco. Stupidaggini. Tipo che io metto un pizzico di zucchero nel sugo di pomodoro e lui si arrabbiava, cretina, "non sai fare niente", mi urlava. O una volta che ho tirato fuori dal freezer il pezzo di carne sbagliata: mi ha lanciato addosso una bottiglia, "tu non hai il cervello, adesso la paghi". Via via ho cominciato a vivere con la paura. E più tu hai paura, più lui ha potere. Avevo sempre le antenne, stavo in guardia, mi sentivo sul filo, in qualsiasi momento poteva scattare la furia».
Dappertutto, negli ultimi anni, sono nati dei centri anti-violenza. Solo in Lombardia sono quindici, ma ce ne sono dal Friuli alla Sardegna. Alcuni hanno nomi fantasiosi: «Iotunoivoi», «Zero tolerance», «Centro Lilith». Il primo è stato, a Milano, nell´´88, la Casa delle Donne maltrattate; da allora ha seguito 20mila casi. E vent´anni dopo Marisa Guarneri, la fondatrice, non si dà pace: «È ancora sbagliato l´approccio: ci si chiede perché le donne accettano di essere picchiate, ma bisognerebbe chiedersi perché gli uomini hanno bisogno di picchiare. Da noi passa un mondo assolutamente trasversale. E quando le donne sono autonome, quando hanno un lavoro e possono allontanarsi, allora gli uomini sono più incazzati e diventano più cattivi». Uomini che Guarneri chiama «gli insospettabili». Quelli che «all´esterno sembra che sia tutto normale, ma la normalità accade che sia questa: soprusi, distruzione della personalità. La violenza in famiglia ha tante facce e il dramma è che non suscita clamore. Sui giornali finisce solo il caso di quella ammazzata».
Tutto è un problema. Per Carla anche il successo sul lavoro: «Mi diceva, per forza sei brava, basta che mostri le tette». E i figli: «Hai cresciuto dei selvaggi, sei una madre di merda». La seconda volta, per lei, le botte arrivano in macchina: «Trenta chilometri di pestaggio, non mi ricordo nemmeno il perché. Poi mi ha detto sistemati, che andiamo a prendere l´aperitivo. La terza è perché non avevo dato da mangiare ai cani. E lui: "ma perché devo massacrarti?" Era in mutande, aveva appena fatto la doccia, mi aveva appena detto che aveva fatto sesso da solo. Bastarda, sei una porca, ti mangio le budella, perché mi costringi a fare così? Io in un angolo, e lui calci, pugni, schiaffoni. Quella è stata anche l´ultima volta». Storie così arrivano ogni giorno a Cerchi d´acqua, una cooperativa sociale fondata da Daniela Lagormasini che accoglie tra le 6 e le 700 donne l´anno: «Il primo stereotipo da confutare è che questa condizione riguardi solo le emarginate, quelle povere e ignoranti. Si parla tanto di salvaguardia della famiglia, ma quello che vedo dal mio osservatorio è che spesso nella famiglia c´è la cultura della prevaricazione, del non rispetto dell´altra». I numeri confermano le sue parole: quasi il 20 per cento delle vittime sono laureate; il 17, 3 ha un diploma superiore; il 23, 5 per cento è fatto di dirigenti, libere professioniste, imprenditrici.
Guarneri, sconvolta dalle reazioni di «punizione etnica» sollevate dai clamorosi casi di cronaca recente, ha lanciato un appello agli uomini: «Sono abituata a vedere giovani donne diventare il capro espiatorio dei problemi della propria famiglia, abusate in silenzio. E intanto si parla di esercito nelle città. E mi chiedo: dove sono gli uomini contro la violenza? Perché non mettono alla gogna tutti gli uomini che terrorizzano, umiliano, perseguitano, donne colpevoli solo di cercare la propria libertà?». Uomini che stanno nelle nostre comode case più spesso che nelle roulotte.
C´è stata, ricorda Alessandra Kustermann, ginecologa, fondatrice di SVD, soccorso violenza domestica della Mangiagalli, una campagna di pubblicità progresso che era perfetta: «Quella donna piena di lividi, che diceva "è stato un tappo di champagne". Ecco, quella è la realtà quotidiana. Quella familiare è la violenza più infida perché viene pervicacemente negata, anche a se stesse. Tante di quelle che finiscono qui arrivano a pensare: se mi picchia perché è geloso, allora mi ama. E per rendersi conto hanno bisogno di anni». Carla, a capire, ci ha messo tre anni: «Resta l´uomo che ho amato di più al mondo. Ma è l´uomo che ha rischiato di distruggermi. Adesso, solo adesso che ho avuto il coraggio di uscirne, mi sento di nuovo una persona».
>>>>>Secondo l'Istat nel 92,5% dei casi le donne non denunciano
Tre milioni di vittime tra vergogna e silenzio

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